Tu chiami una vita
Fatica,d’amore, tristezza,
tu chiami una vita
che dentro, profonda, ha nomi
di cieli e giardini.
E fosse mia carne
che il dono di male trasforma.
Salvatore Quasimodo
Tu chiami una vita
Fatica,d’amore, tristezza,
tu chiami una vita
che dentro, profonda, ha nomi
di cieli e giardini.
E fosse mia carne
che il dono di male trasforma.
Salvatore Quasimodo
Apparenze
Lo specchio delle civette
Sull’acqua del fiume tranquillo
si sporge bruciato il gran ramo
d’un albero grande
che solo quel ramo ha bruciato.
Si posan la notte,
sul ramo sporgente,
civette a migliaia.
Si posan ridendo,
guardando nell’acqua del fiume
che sotto vi scorre tranquillo.
Aldo Palazzeschi
92
Lesbia sparla sempre di me, senza respiro
di me: morissi se Lesbia non mi ama.
Lo so, son come lei: la copro ogni giorno
d'insulti, ma morissi se io non l'amo.
Publio Valerio Catullo
Bonaccia
Il mare desidera scafi profondi…
Si gonfia e s’inarca.
L’elica pulsa e lo fa ribollire…
Spinge, vibra, s’avvita.
Il mare trabocca di passione,
Fluttuante, carezzevole,
Dimenando il gran ventre amoroso.
Antico e grande è il mare…
Le navi martellanti non ricambiano il suo amore.
Parigi, circa 1922
«Poetry» (gennaio 1923)
Three Stories & Ten Poems (1923)
Ernest Hemingway
| Silvia Baldacci "Bonaccia" |
La nostra vita
dovrebbe essere semplice
e spontanea come le stagioni,
con il freddo dell’inverno,
il tepore della primavera,
il caldo
dell’estate
e la dolcezza dell’autunno.
Romano Battaglia
Dicembre nella stanza
Dicembre nella stanza
vuota mi inoltra. Duole
agli occhi quel riflesso
di sole che si insinua
dalle persiane. Sole
sul bianco soffitto
due mosche immote stanno.
Ma la vita continua
dicono. Il raggio fruga
inquieto l'ombra, sfiora
il letto intatto. Dentro
lo specchio c'è una fuga
di oggetti che ti ignorano.
Rigermina, all'inganno
del raggio, una precaria
estate. Ed ebbre, adesso,
le mosche in una danza
d'amore e morte vanno.
La vita è così varia.
D'oro per un momento
palpitano nell'aria;
poi giù sul pavimento
scendono a capofitto
come la mia speranza.
Siro Angeli
Valmorbia
Valmorbia, discorrevano il tuo fondo
fioriti nuvoli di piante agli àsoli.
Nasceva in noi, volti dal cieco caso,
oblio del mondo.
Tacevano gli spari, nel grembo solitario
non dava suono che il Leno roco.
Sbocciava un razzo su lo stelo, fioco
lacrimava nell'aria.
Le notti chiare erano tutte un'alba
e portavano volpi alla mia grotta.
Valmorbia, un nome - e ora nella scialba
memoria, terra dove non annotta.
Eugenio Montale
Ancora siamo parte di tanto
ancora legati alle cose, al senso,
torneremo a essere soli, insicuri,
domani, sarà domani...
Mai ti vinse notte così chiara
Mai ti vinse notte così chiara
se t’apri al riso e par che tutta tocchi
d’astri una scala
che già scese in sogno rotando
a pormi dietro nel tempo.
Era Iddio allora timore di chiusa stanza
dove un morto posa,
centro d’ogni cosa,
del sereno e del vento del mare e della nube.
E quel gettarmi alla terra,
quel gridare alto il nome nel silenzio,
era dolcezza di sentirmi vivo.
Salvatore Quasimodo
Abitudini
Sull’asfalto del viale la luna fa un lago
silenzioso e l’amico ricorda altri tempi.
Gli bastava in quei tempi un incontro improvviso
e non era piú solo. Guardando la luna,
respirava la notte. Ma piú fresco l’odore
della donna incontrata, della breve avventura
per le scale malcerte. La stanza tranquilla
e la rapida voglia di viverci sempre,
gli riempivano il cuore. Poi, sotto la luna,
a gran passi intontiti tornava, contento.
A quei tempi era un grande compagno di sé.
Si svegliava al mattino e saltava dal letto,
ritrovando il suo corpo e i suoi vecchi pensieri.
Gli piaceva uscir fuori prendendo la pioggia
o anche il sole, godeva a guardare le strade,
a parlare con gente improvvisa. Credeva
di saper cominciare cambiando mestiere
fino all’ultimo giorno, ogni nuovo mattino.
Dopo grandi fatiche sedeva fumando.
Il piacere piú forte era starsene solo.
È invecchiato l’amico e vorrebbe una casa
che gli fosse piú cara, e uscir fuori la notte
e fermarsi sul viale a guardare la luna,
ma trovare al ritorno una donna sommessa,
una donna tranquilla, in attesa paziente.
È invecchiato l’amico e non basta piú a sé.
I passanti son sempre gli stessi; la pioggia
e anche il sole, gli stessi; e il mattino, un deserto.
Faticare non vale la pena. E uscir fuori alla luna,
se nessuno l’aspetti, non vale la pena.
[maggio-agosto 1936]
Cesare Pavese
Siamo piccole attese