Perché restare
La sera
siedo su questo sasso, e aspetto.
Aspetto non so che cosa, ma aspetto.
Il sonno. La morte direi, se anch’essa
da un pezzo – già non se ne fosse andata
da questi luoghi.
Giorgio Caproni
Perché restare
La sera
siedo su questo sasso, e aspetto.
Aspetto non so che cosa, ma aspetto.
Il sonno. La morte direi, se anch’essa
da un pezzo – già non se ne fosse andata
da questi luoghi.
Giorgio Caproni
48
Se i tuoi occhi di miele, Giovenzio,
mi fosse lecito baciare,
migliaia di volte io li bacerei
e non potrei esserne mai sazio,
anche se piú fitta di spighe mature
fosse la messe dei miei baci.
Publio Valerio Catullo
Ape
Ciò che di te si dice, anima mia,
Forse vero sarà, ma non mi cape:
Più che uno spiritel, credo che un’ape,
Una vaga, inquïeta ape tu sia.
E un’ape aristocratica, che in seno
A’ più soavi e cari fior si posa,
E dal candido giglio e dalla rosa
Sugge — non miele, ah no! sugge veleno.
Arturo Graf
La mèta fallace
Chiusa è la casa dov'io giungo alfine,
spossata dall'asprezza ardua dell'erta.
Ai cardini s'abbrancano le spine,
la casa è chiusa e la soglia è deserta.
Par ch'essa punga d'un suo muto e fine
sdegno chi sta fra timida ed incerta,
col petto ansante e con le ciglia chine,
e che del folle suo inganno l'avverta.
Che val sostare? Anima mia, che vale
piangere con la bocca sul gradino
dove si posa il piede di chi sale?
Che val chiamar chi è sordo o non ascolta?
A ritroso facciam ora il cammino...
Non tremare così, anima stolta.
Amalia Guglielminetti
A un demagogo
Tu dici bene: è tempo che consacri
ai fratelli la mente che si estolle
anche il poeta, citaredo folle
rapido negli antichi simulacri!
Non più le tempie coronate d'acri
serti di rose alla Bellezza molle;
venga all'aperto! Canti tra le folle,
stenda la mano ai suoi fratelli sacri!
E tu non mi perdoni se m'indugio,
poiché di rose non si fanno spade
per la lotta dei tuoi sogni vermigli.
Ma un fiore gitterò dal mio rifugio
sempre a chi soffre e sogna e piange e cade.
Eccoti un fiore, o tu che mi somigli!
Guido Gozzano
Dedicata a F.W.
Le vite degli atleti ci ricordano
I calci e i pugni che possiamo dare,
E le impronte di zoccoli sul muso
Che, partendo, si possono lasciare.
Oak Park, 1916
«Trapeze» (24 novembre 1916)
Ernest Hemingway
Furto
Hanno rubato Dio.
Il cielo è vuoto.
Il ladro non è ancora stato
(non lo sarà mai) arrestato
Giorgio Caproni
Regalami libri che finiscano bene
in mancanza di romanzi anche poesie
in mancanza di poesie magari anche una strofa
in mancanza di una strofa
anche un unico verso.
Yvon Le Mene
La mia Ninna Nanna
Non ho sonno:
mi ronzan nella testa
intorno a fiori neri
di malinconici pensieri,
come insistenti macroglosse,
campane a festa,
forse quelle del mio paese,
così strane così lontane !
Ed ho voglia di piangere :
è tanto
che non ho pianto !
Ma, sotto le finestre, ulula il mare
mugghia e rugge con ira,
m' intorbida la mente,
m' acqueta i sensi
col suo fragore immane.
Ed io mi stringo nel lenzuolo,
mi rannicchio in un canto freddo e solo,
il picchiar del mio cuore più non sento,
e in pace m' addormento.
Come un gracile bambino,
cullato bruscamente da un gigante
nel suo povero lettino.
Corrado Govoni
44
Campagna mia, sabina o tiburtina
(ma chi non ha cuore di ferirmi sostiene
che tu sei tiburtina, anche se gli altri
per dirti sabina darebbero ogni cosa),
sabina dunque o tiburtina come è vero,
con gioia sono stato lí nella tua villa
fuori Roma a liberarmi di quella tosse
maledetta che certo ho ben meritato
per l'ingordigia di gustare un pranzo splendido.
Volevo godermi la tavola di Sestio:
mi son dovuto leggere un discorso livido
e velenoso contro Anzio, suo rivale.
Di colpo mi scoppia un raffreddore, una tosse
secca, finché non son fuggito qui da te
per curarmi con riposo e decotti.
Ora sto bene e posso quindi ringraziarti
di non aver punito la mia colpa.
Se dovessi subire ancora i suoi libelli,
voglio che il loro lievore procuri a lui,
non a me, brividi e tosse: quello m'invita
solo per leggere i suoi maledetti scritti.
Publio Valerio Catullo
La Venere di Milo
La Venere di Milo
Ha in Parigi, nel Louvre,
Se non un tempio, almeno
Un riparo, un asilo.
Quivi ogni giorno, quanto è lungo l’anno,
Oziosi, pedanti ed annojati
D’attorno le si fanno
A contemplar con volti trasognati,
E con occhi sgranati,
La sua bellezza ignuda e desïosa.
Di questa e d’altre noje l’amorosa
Dea non si cura, o forse non s’avvede;
E solamente par che le dispiaccia
D’aver perduto le sue bianche braccia,
Le sue candide braccia, ond’ella tanti
Si strinse al petto venturosi amanti
Arturo Graf