Tristezza d'una sera d'Ottobre
Son rientrato or ora.
Per la via
di casa s'accendevano
i fanali
tremuli fuochi di
malinconia.
Ha piovuto per tutta
la giornata.
Son già le prime
acque autunnali.
Poi l'aria a vespro
s'è rasserenata.
Ma in questa
trasparenza d'ametiste
il cielo è come
un'anima ch'è stanca
di piangere, ed
ancora è tanto triste.
Nessun passava, per
la via remota:
incombeva una gran
nuvola bianca
sovra le case,
tragica ed immota,
un pianger di campane
era nell'aria,
dai platani cadean le
prime foglie;
tremava qualche
stella solitaria;
ed un accoramento
indefinito
era in quell'ora
satura di doglie
che mi tenea come un
fanciul smarrito:
un fiorir vago di
memorie spente,
di rimpianto per ogni
ben perduto
cui passai forse
accanto indifferente:
volti di donne
intravedute appena,
anime apparse in
gesto di saluto
per qualche
solitudine serena,
fantasmi erranti che
più non ravviso
chiusi nei veli della
lontananza,
ombre di pianto, luci
di sorriso
rievocanti all'anima
in tremore
un fulgor biondo,
un'aria di romanza,
un mattin d'oro, una
veranda in fiore.
Dogliosa nostalgia,
la più dogliosa:
quella di ciò che
trascurammo, e ov'era
forse la nostra dolce
sorte ascosa.
Forse... Triste
parola, triste quale
fra le rame dei
platani stasera
questo languor di
cielo autunnale:
triste e pur buona,
che pur s'addolora
ne illude ancor di
qualche tenerezza
di cui viviamo, in
cui crediamo ancora,
di cui può ancora
l'anima sognare,
l'anima ch'ebbe a
tedio ogni certezza
e il sogno solo può
ancor consolare.
Ma questa sera, oh,
nulla la consola:
così triste è la casa
all'imbrunire
quando si è soli, e
pur l'anima è sola.
Le cose amate, le
cose più care
son come morte e più
nulla san dire
in questa scialba
angoscia che traspare
di tra i ricami delle
tende bianche
nell'agonia
dell'ultimo chiarore
fra voci di campane
umili e stanche.
Tristezze d'un
crepuscolo! Nell'ombra
una pendola batte: un
vecchio cuore
triste, che una
mortal stanchezza ingombra.
«Addio» mormora
l'anima dolente.
Perché, non sa. Vede
svolare a frotte
fra rade stelle
fantasime lente
nubi di sogni,
vanienti forme
perdute incontro
all'imminente notte
verso il mistero
immobile ed enorme,
e un bisogno d'addii,
forse di pianto,
la stringe.
Qualcheduno è per partire?
Non sa. Forse è
partito già, da tanto,
da tanto tempo.
«Addio» mormora ancora
e piange stanca, e
sentesi morire.
Di che, non sa. Malinconia l'accora.
Guelfo Civinini
da "I sentieri e le nuvole"
i primi segnali d'autunno nell'aria pesa
di pioggia intrisa la testa, gli occhi, la voce;
perdura un rimpianto nel timido, pavido cuore
di chi insegue miraggi di nitido sole...
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