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sabato 30 aprile 2016

Bellezze, di Corrado Govoni

Bellezze
 
Il campo di frumento è così bello
solo perché ci sono dentro
i fiori di papavero e di veccia;
ed il tuo volto pallido
perché è tirato un poco indietro
dal peso della lunga treccia.

Corrado Govoni
Il quaderno dei sogni e delle stelle
 
 
rosso papavero, verde spiga,
poi maturerà il grano;
i prati, mi mancano i prati,
risento l'odore del fieno...

venerdì 29 aprile 2016

Aprile, di Carlo Michelstaedter

Aprile

Che più d'un giorno è la vita mortale?
Nubil'e brev'e freddo e pien di noia,
die pò bella parer ma nulla vale.
PETRARCA, Triumphus Temporis

Il brivido invernale e il dubbio cielo
e i nembi oscuri che al novello amore
han fatto schermo della terra antica
dispersi a un tratto, al sol ride la terra
che d'erbe e fiori ancor s'è ricoperta
- se pur il ciel di nubi ancora svarii,
onde occhieggian le stelle nelle notti,
e nere fra il lor vario scintillare
traggan le lunghe dita pel sereno
che al piano oscuro ed ai profili neri
degli alberi dei monti si congiungono.
Ma nel cielo e nel piano, ma nell'aria,
ma nello sguardo della tua compagna
e nel pallido viso,
ma nel tuo corpo, ma per la tua bocca
canta ciò che non sai: la primavera.

Così mi tragge a me stesso diverso
e amor m'induce e desiderio, ancora
ch'io non sappia per che, pur fiduciosi.
Ché pur in me natura si nasconde
insidiosa e ignaro me sospinge.
Ahi, che mi vale, se pur fugge l'ora
e mi toglie da me sì ch'io non possa
saziar la mia fame ora qui tutta?
Ma solo e miserabile mi struggo
lontano e solo, anco s'a te vicino
parlo ed ascolto, o mia sola compagna.
Mentre di tra le dita delle nubi
a che occhieggian le stelle nel sereno?
Già trapassa la notte e nuove fiamme
leverà il sole ch'ei rispenga tosto:
passano i giorni e già sarà qui '1 verno
e il sol sorgendo pallido e incurante
farà fiorire il fango per le strade.
A che occhieggian le stelle nel sereno?
Qui bulica la terra e qui si muore,
cantano i galli e stridon le civette.
O gioia del novello nascimento,
o nuovo amore e antico!
O vita, chi ti vive e chi ti gode
che per te nasce e vive ed ama e muore?
Ma ogni cosa sospingi senza posa
che la tua fame tiene, e che nel vario
desiderar continua si trasmuta.
Di sé ignara e del mondo desiosa
si volge a questo e a quello che nemico
le amica il vicendevole disio,
nemica a quelli pur quando li ami
e ancora a sé per più voler nemica.
Così nel giorno grigio si continua
ogni cosa che nasce moritura,
che in vari aspetti pur la vita tiene -
ed il tempo travolge - e mentre viva
vivendo muor la diuturna morte.

Ed ancor io così perennemente
e vivo e mi tramuto e mi dissolvo
e mentre assisto al mio dissolvimento
ad ogni istante soffro la mia morte.
E così attendo la mia primavera

una ed intera ed una gioia e un sole.
Voglio e non posso e spero senza fede.
Ahi, non c'è sole a romper questa nebbia,
ma senza fine e senza mutamento
sta in ogni tempo intero ed infinito
l'indifferente tramutar del tutto.

Pur tu permani, o morte, e tu m'attendi
o sano o tristo, ferma ed immutata,
morte benevolo porto sicuro.
Che ai vivi morti quando pur sia vano
quanto la vita il pallido tuo aspetto
e se morir non sia che continuar
la nebbia maledetta
e l'affanno agli schiavi della vita -
- purché alla mia pupilla questa luce
che pur guarda la tenebra si spenga
e più non sappia questo ch'ora soffro
vano tormento senza via né speme,
tu mi sei cara mille volte, o morte,
che il sonno verserai senza risveglio
su quest'occhio che sa di non vedere,
sì che l'oscurità per me sia spenta.
 
Carlo Michelstaedter
Notte 16-17 aprile 1910
 
 
...anche Aprile sta finendo ed io
non sono ancora al Sud...
qualche anno fa,
qualche Aprile fa...

giovedì 28 aprile 2016

Spiegazione necessaria, di Ghiannis Ritsos

Spiegazione necessaria
 
 Ci sono versi – a volte poesie intere –
che neanch'io so cosa voglion dire. Quello che non so
 mi trattiene ancora. E tu hai ragione a chiedere. Ma non
chiedere a me.
     Ti ho detto che non so.
                         Due luci parallele
 dallo stesso centro. Il rumore dell'acqua
 che cade, d'inverno, dalla grondaia colma
 o il rumore di una goccia che stilla
 da una rosa nel giardino annaffiato
 lentamente, lentamente, una sera primaverile
 come il singhiozzo di un uccello. Non so
 cosa vuol dire questo rumore; e tuttavia l'accetto.
 Le cose che so te le spiego. Non mi dimentico.
 Ma anche queste aggiungono qualcosa alla nostra vita.
     La guardavo
 mentre dormiva, il ginocchio piegato ad angolo sul
                       lenzuolo –
Non era solo l'amore. Questo angolo
 era il crinale della tenerezza, e il profumo
 del lenzuolo, di pulito e di primavera completavano
 quell'inspiegabile che ho tentato, ancora inutilmente,
     di spiegarti.

Ghiannis Ritsos
La poesia delle cose
Traduzione di Nicola Crocetti
 
 
anch'io spesso non so,
non capisco e mi muovo
a velocità diversa dagli altri;
forse sto bruciando tempo,
forse è solo vecchiaia...

mercoledì 27 aprile 2016

Cosa e parola, di Marino Morett


Cosa e parola
 
Felicità, cosa che sa d'amaro,
parola che si lascia dire e ride,
fior che fiorisce come un frutto raro,
gioia che il cuor sopisce e non uccide;
felicità, larva di donna, riso
di donna, occhio di donna, ombra di donna,
seppi io forse il tuo gran rombo improvviso,
rabbrividii nel tuo bacio che assonna?
E se la stringo al mio cuore soave
la chiave della mia casa solinga,
felicità, forse t'ho chiusa a chiave,
fior, gioia, donna, ombra, infelicità?
 
Marino Moretti
da "Il giardino dei frutti"
 
 
mi viene in mente
"non chiederci la parola"
come fosse mia,
come l'avessi pensata...

martedì 26 aprile 2016

Sotto il cielo d'Aprile, di Sandro Penna

Sotto il cielo d'aprile
 
Sotto il cielo d'aprile
 la mia pace è incerta.
I verdi chiari ora si muovono
sotto il vento a capriccio.
Ancora dormono
l'acque ma, sembra,
come ad occhi aperti.
Ragazzi corrono sull'erba,
e pare
che li disperda il vento.
Ma disperso
solo è il mio cuore
cui rimane un lampo
vivido (oh giovinezza) delle loro
bianche camicie
stampate sul verde.
 
Sandro Penna
 
 
Aprile sta per finire,
la primavera ormai è in piena fioritura,
qualche scampolo di freddo,
qualche patema ancora...

lunedì 25 aprile 2016

Ad un Partigiano caduto, di Giuseppe Bartoli


Ad Un Partigiano Caduto

 la strada che conduce
 a quei giorni lontani di smeraldo
 dove sostammo come creduli ragazzi
 a creare coi sogni nelle vene
 fantasie di speranze e di parole
 fra pugni di “canaglie in armi”
Forse potrei dimenticare il giogo
 che mi lega all’arco dei rimpianti
 se soltanto le voci dei compagni
 tornassero a cantare
 come quando la vita dilagava
 e tu portavi alla gioia di tutti
 il tuo sorriso di fanciullo
 e la forza serena dei tuoi occhi
 Ma anche se il tempo non ricama
 che fili d’ombra sulla memoria
 e il tormento di quel assurdo giorno
 quando attoniti restammo
 davanti alla pietà della tua forca
 è pur sempre l’ora della tua lotta
 del tuo caldo vento di libertà
 immenso come grembi di colombe
 in volo fra fiori d’acquadiluna
 Tu solo amico adesso
 puoi scegliere i ritorni
 e dirci ancora
 col battito delle tue ali
 le bellezze della vita
 e le dolci innocenze della morte.
 
Giuseppe Bartoli

 

domenica 24 aprile 2016

Tra i rami, di Raymond Carver

 Tra i rami

 Sotto la finestra, sul balcone, ci sono degli uccellini malridotti
 che si affollano attorno al cibo. Sono gli stessi, credo,
 che vengono tutti i giorni a mangiare bisticciando. C’era un tempo,
 c’era un tempo,
 gridano e si beccano. Sì, è quasi ora.
 Il cielo rimane cupo tutto il giorno, il vento viene da ovest e
 non smette di soffiare... Dammi la mano per un po’. Tienimi la
 mia. Così va bene, sì. Stringimela forte. C’era un tempo in cui
 pensavamo di avere il tempo dalla nostra. C’era un tempo, c’era
 un tempo,
 gridano gli uccellini malridotti.
Raymond Carver
 
 
 
le cose terribili,
quelle impresse, passano,
ma restano;
poi nel silenzio ritornano,
poi ti ributtano indietro,
poi se vanno di nuovo...

sabato 23 aprile 2016

XIII, di Roberto Rossi Precerutti

XIII
 
Fiammelle grandinano sul velluto
di una notte di giustizia, non vera
sotto il flagello aquilonare, cera
di figurine sciolta dentro il muto
 
avvolgersi dei bisbigli – e l'imbuto
dell'ombra accoglie una luce straniera,
spigoli d'apparizioni in rivera
celeste – appassito, vinto, ho giaciuto
 
nel silenzio umido di carnevali
adolescenti, trasparenti le ali.

Roberto Rossi Precerutti
Rimarrà El Greco
 
 
intravedo sagome nel tempo,
quello da lungi, infinito, sperso;
le vaghe stelle sfavillano.
bisbigliano ma è poca la luce...

venerdì 22 aprile 2016

Le nuvole, di Michail Lermontov

Le nuvole
 
 Nuvole celesti eternamente erranti!
 Sulla steppa azzurra come perle infilate,
 Dal caro nord verso il meridione
 Scorrete, come me, esiliate.

 
 Cosa vi spinge: Il volere del destino?
 Una segreta invidia? Un'ira manifesta?
 O vi opprime il peso di un delitto?
 O degli amici la venefica maldicenza?

 
 No, vi hanno annoiato gli aridi campi...
 A voi sono estranee passioni e pene;
 In eterno fredde e in eterno libere,
 Voi una patria e un esilio non avete.

 Michail Lermontov
La mia casa è sotto la volta celeste
Traduzione di Paolo Statuti
 
 
sulle nuvole, quante volte da ragazzo,
molto meno oggi e domani;
eppure la sensazione è forte, unica,
il respiro si allunga e si chiudono gli occhi...

giovedì 21 aprile 2016

Congedo, di Giosué Carducci

Congedo
 
A' lor cantori diano i re fulgente
collana d'oro lungo il petto, i volghi
a' lor giullari dian con roche strida
 suono di mani.

Premio del verso che animoso vola
da le memorie a l'avvenire, io chiedo
colma una coppa a l'amicizia e il riso
de la bellezza.

Come ricordo d'un mattin d'aprile
puro è il sorriso de le belle, quando
l'età fugace chiudere s'affretta
il nono lustro;

e tra i bicchier che l'amistade infiora
vola serena imagine la morte,
come a te sotto i platani d'Ilisso,
divo Platone.
 
Giosué Carducci
da "Odi Barbare"
 
 
addii difficili, resi stanchi
da efferate cattiverie reciproche;
qualche arrivederci che suona falso,
qualche saluto veloce...

mercoledì 20 aprile 2016

Gatti, di Darío Jaramillo


Gatti
 
 Stati della materia.
 Gli stati della materia sono quattro:
 liquido, solido, gassoso e gatto.
 Il gatto è uno stato speciale della materia,
 anche se sorge qualche dubbio:
 è materia questa voluttuosa contorsione?
 non viene dal cielo questo modo di dormire?
 E questo silenzio, non proviene forse da un luogo
senza tempo?
 Quando lo spirito gioca a essere materia
 allora si trasforma in gatto.

 Darío Jaramillo
Traduzione di Emilio Coco
 
 
piccoli amici, forse conoscenti,
un gioco che dura un attimo,
occhi pieni di mondi,
fusa sonnecchiando sul divano...

lunedì 18 aprile 2016

La pace delle cose selvagge, di Wendell Berry

La pace delle cose selvagge
 
 Quando la disperazione per il mondo
cresce dentro di me
 e mi sveglio di notte al minimo rumore
 col timore di ciò che sarà della mia vita
e di quella dei miei figli,
 vado a stendermi là dove l’anatra di bosco
 riposa sull’acqua in tutto il suo splendore
 e si nutre il grande airone.
 Entro nella pace delle cose selvagge
 che non si complicano la vita per il dolore che verrà.
 Giungo al cospetto delle acque calme.
 E sento su di me le stelle cieche di giorno
 che attendono di mostrare il loro lume. Per un po’
riposo tra le grazie del mondo e sono libero.
 
 Wendell Berry
L'ordine della natura
 Traduzione di Paolo Severini
 
 
le cose stanno con noi,
ci ruotano intorno,
ci fanno compagnia;
non chiedono nulla, danno,
quando poi ci stanchiamo
le dimentichiamo, le buttiamo...

domenica 17 aprile 2016

Domenica d'Aprile, di Anonimo

Domenica d'Aprile
 
Un' impalpabile pioggia sui vetri,
è mattino d'Aprile, domenica.
Le prime avvisaglie dell'alba,
il canto di cince già sveglie;
poi torno al caffè, nero, amaro,
mi sento di nuovo lontano,
mi sembra di stare lontano.
Le vie sono ancora deserte,
domenica, ci si alza più tardi.
 
Anonimo
del XX° Secolo
poesie ritrovate
 
 

sabato 16 aprile 2016

L'uomo, di Giovanni Prati

L’uomo

Terra, dall’ime viscere
Manda di gioia un grido;
Svegliati, e leva un fremito.
Mar dall’immenso lido;
Angelica coorte,
Inneggia e ti prosterna;
Sulle celesti porte
Brilla ineffabil dì;
L’uom dalla mano eterna
Colmo di vita uscì.
Più arcano delle tenebre,
Più delle belve truce
Più libero del turbine
Più bello della luce,
Nel portentoso istante
Al Crëator converso;
Di gloria sfolgorante
Egli già move il piè…
O suddito Universo,
T’apri davanti al re.
Figlio di Dio, recandosi
L’alta promessa ei viene:
«Di nati avrà miriadi,
Come astri e come arene!
A un cenno di quel fonte
Sarà l’oceano aperto;
Quasi lapillo, il monte
A’ piedi suoi cadrà;
La tigre del deserto
Sul dorso il porterà!»
E già gagliardo e nomade
Corre la giovin terra;
Ode i ruggiti, e indomito
Sfida le belve in guerra;
Per mezzo alle foreste
Fiero la tenda inalza;
Cinge l’orribil veste
Dei pardo e del lïon;
Sui geli della balza
Suona la sua canzon.
Ma da quei geli un’intima
Voce soave il chiama:
Scende fratello incognito,
Trova i fratelli… ed ama!
Oh santo il primo amplesso,
Che rannodò i mortali!
Non gemito d’oppresso,
Non ira d’oppressor:
Ma liberi ed eguali.
Con un sei patto in cor!
Ecco una fiamma eterea
In mille spirti è giunta;
L’occhio di mille in candida
Pietra angolar s’appunta.
Curvo sostien le braccia
L’uom verso l’alto immote;
Gli scende sulla faccia
Misterïoso un vel…
È nato il sacerdote,
Stretta è la terra al ciel!
Muto si prostra il popolo
A lui, che vaticina;
Ode i proferti oracoli
Dalla fatal cortina;
E adora un dio; de’ campi
Nella virtù feconda,
Dei päurosi lampi
Nell’infiammato vol,
Nel fremito dell’onda,
Nella beltà del Sol!
Allor le destre in memori
Patti la Fè compose,
I genii del connubio
Si cinsero di rose,
L’uom tra le monde mani
Tolse l’occulto lare,
Negli aditi più arcani
Tremando il collocò,
E a quell’ignoto altare
Questa parola alzò:
«È mia la casa: i pargoli
Sangue del sangue mio!
Noi coronò di talami
Casti e felici Iddio!
Qui fu la nostra cuna,
Qui sorge il nostro avello,
Ciascun di noi per Una
Sentir qui debba amor…
Oh! non m’è più fratello
Chi non m’intende ancor!
«Pera chi tenta volgerti
In giorni bassi e rei,
O patria del mio cantico,
Terra de’ figli miei;
Sin le verginee voci
Daran tremendi suoni,
E contro alle feroci
Idre converse in te
Vigileran leoni
Delle tua mura al piè».
Oh come bello e splendido
Fu l’uom serrato in arme!
Si sollevò dall’orrida
Siepe de’ brandi un carme.
Si scossero i gagliardi,
Come rumor di venti,
La pugna dei codardi
Un breve lampo fu…
Sostarono i fuggenti,
E già non eran più
Inni al trionfo! Ei reduce
Pien di beltà guerriera
Sul petto con un fremito
Stringe l’ostil bandiera;
L’elmo, l’acciar la maglia
Fiammeggiano di gloria,
Il Dio della battaglia
A lui d’accanto sta…
— Incurvati, o vittoria,
Tolto lo scettro ei t’ha!
Santa è la pace! — Ai teneri
Nati il vestir festivo
Componi, o madre, e intrecciane
Il biondo crin d’ulivo!
O veglio, a’ tuoi racconti
Riedi sereno ancora;
Soldato, i patrii monti
Ritorna a salutar;
Sali, o nocchier, la prora,
E t’abbandona al mar!
Non più gli avversi spiriti
Suon d’oricalchi preme;
Santa è la pace! albergano
Gli agni e le tigri insieme.
L’uom non obblìa l’antica
Virtù; ma giace ascoso
L’elmetto e la lorica,
La lancia ed il corsier…
— È un altro il luminoso
Volo del suo pensier.
Fremente al par dell’aquila
Cui la bass’aria duole,
Egli s’avventa a togliere
Una favilla al sole!
Entra d’intatti regni
Nell’intime latèbre,
Misterïosi segni
Gli schiudono il cammin;
Ei rompe le tenèbre,
E interroga il destin!
«Di me che fia?… del fragile
Ente, che pensa e muore?…
Come s’incende l’aëre,
Come si pinge il fiore?…
Perchè senz’urto posa
Questa materia inerte?
Che è mai la forza ascosa
Che tutto volve al suol?
Di poche piume aperte
Come si libra il vol?
«Qual è virtù, che il vortice
Ferocemente desta,
Che annegra e muta il nugolo
In ira di tempesta?…
Della tua luce adorno
Non mi. mandasti, o Dio?
Dell’universo un giorno
Fatto non m’hai signor?
Dunque allo sguardo mio
Perchè lo celi ancor?….
Questo dolor, quest’impeto
L’uom sitibondo ardeva.
Era il poter dell’angelo,
Nella fralezza d’Eva!
E non tremò. Nei veli
Si spinse del mistero;
Schiuder le porte ai cieli,
Tentar l’abisso ardì…
— E incoronato il Vero
Dalla sua tomba uscì!
Tripudia, o forte! — Al sonito
Della tua voce ei venne;
Or lo suggella in pagina,
Che debba star perenne;
A lacerarti il seno
Gli stolti. sorgeranno;
Tu, martire sereno,
Esulta e va a morir!
Impero essi non hanno
Sui dì dell’avvenir!
Entro i non nati secoli,
Del gran giudicio è l’ora!
Per te venuta i posteri
Confesseran l’aurora;
Redimeranno i vati
Le non colpabili ossa;
E l’onta, che i passati
Sul marmo ti stâmpar,
Verrà nella sua possa
La gloria a cancellar!
Ma per qualunque tramite
Muover tu pensi l’orma,
Dimmi, qual mai ti seguita
Cara, celeste forma,
Che ti carezza il viso,
Che mormora il tuo nome,
Che di un fraterno riso
Consola il tuo cammin,
Che intreccia alle tue chiome
Le rose del suo crin?….
Oh! le ti prostra; e venera
Dio nelle sue sembianze!…
Spargile in sen le lagrime,
Le gioie e le speranze!…
E quando ogni altro amore
T’avranno tolto i fati,
Stringiti allor sul core
Quest’angiol di pietà:
— Tesori inaspettati,
La tua miseria avrà!
 
Giovanni Prati
 
  
da sempre ricerche,
nel nome del sesso, del cuore,
uomini, donne continui
spazio tempo in fusione,
gioie e dolori insieme...

venerdì 15 aprile 2016

se il dolore non fosse questa spina..., di Daniele Piccini

Se il dolore non fosse questa spina,
 questa lunga dorsale della vita
 forse non saremmo altro che niente,
 e dobbiamo ringraziare
 che ci venga a visitare e ci porti
 notizia delle cose
 che nell’ombra ci appaiono e nel turbine.

Daniele Piccini
Inizio fine
 
 
dolore, il dolore,
quella cosa alla bocca dello stomaco,
il respiro ingrato, l'ansia;
poi tutto sbocca in lacrime,
poi si sistema;
a volte pervade e continua...

giovedì 14 aprile 2016

L'inventario è pronto, di Attila József

 
L’inventario è pronto
 
 Confido in me fin dall’inizio –
Per chi non ha niente, non è che costi molto;
 ad ogni modo non più che all’animale, che se ne va
 per sempre. Pur avendo paura
 ho retto al mio posto – son nato
 mi sono messo insieme e mi sono distinto.
 Ho anche pagato, secondo il dovuto
 e a chi mi ha datisgrato, l’ho ripagato con l’amore.
 Se donna si è intrattenuta con me per darmi ad intendere
 davvero io l’ho creduta – e si contenti!
 Ho lucidato navi, ho impanato la gramigna,
 tra signori intelligenti ho fatto il finto tonto.
 Ho smerciato semi di girasole, pane, libri
 giornali, versi – quel che al momento era più facile.
 Non in lotte trionfali, né col cappio al collo,
 avrò fine in un letto, come spero a volte.
 Come che sia, ormai l’inventario è pronto.
 Ho vissuto – e di ciò sono morti altri.
 
Attila József
Traduzione di Edith Bruck
 
 
anch'io ho le mie cose,
un ordine mentale discutibile,
un insieme di cose alterne e vive;
nel vuoto si riaccende una luce
ed illumina quell'angolo,
buio, ma pieno di me...

mercoledì 13 aprile 2016

Preghiera, di Arturo Graf


Preghiera
 
Biondo raggio di sol che squarci i biechi
Nugoli e dal fulgente etra rimovi,
Biondo raggio di sol che fai tra sbiechi
Macigni rinverdir triboli e rovi;

Tu che alla terra irrigidita arrechi
novo calor, tu ch’ogni amor rinnovi,
Tu dell’anima mia penetra i ciechi
Abissi e il tuo vital lume vi piovi.

Benigno scendi nel mio cor: del forte
Sonno i lacci e le tetre ombre disserra,
Dissipa il gel dell’odïata morte.

E tu, se tanto tua virtude avanza,
Fa rispuntar dall’indurata terra
L’odorifero fior della speranza.
 
Arturo Graf
 
 
pregare, chiedere, anelare,
quanti verbi in noi vivi, sentiti;
le effimere cose del mondo sparite
di fronte a paure ancestrali...
poi le cose tornano...sempre...

martedì 12 aprile 2016

L' eider, di Henryk Ibsen

L' eider
 
 
L'eider abita la Norvegia
ed è negli oscuri fiordi
ch'egli si spoglia il petto della morbida piuma
per edificare il nido e renderselo caldo.

Ma il pescatore del fiordo col suo bastone nodoso
va a distruggere il nido, strappandone fin l'ultimo fiocco
.
Allora l'uccello si snuda nuovamente il petto
e il pescatore ricomincia la sua opera crudele.

L'uccello imbottisce ancora il nido in un luogo più selvaggio,
ma se è derubato per la terza volta

l'eider spiega le ali e in una notte di primavera
fugge fendendo la nebbia col petto sanguinante

e va verso il mezzogiorno,
verso il mezzogiorno ove sono le spiagge del sole!
 
 
Henryk Ibsen
 
 
Visioni lontane,
il verde, l'acqua, il cielo;
noi come esploratori, raminghi,
verso un sole sempre più denso...

lunedì 11 aprile 2016

Adesso so che non possiedo nulle..., di Philippe Jaccottet

Adesso so che non possiedo nulla,
 neppure l’oro delle foglie fradicie,
 né questi giorni che a gran colpi d’ala
 vanno da ieri a domani, rimpatriano.
 Lei fu con loro, pallida emigrante,
 tenue beltà coi suoi segreti vani,
 brumosa. E ora condotta certamente
 via, tra i boschi piovosi. Come prima
 eccomi in faccia a un irreale inverno,
 ricanta il ciuffolotto, unica voce
 che insiste, come l’edera. Ma il senso
 chi lo puo dire? E la salute scema,
 simile oltre la nebbia al fuoco breve
 che un vento glaciale smorza... Ed è già tardi.
 

 Philippe Jaccottet
Lo slancio del cuore
Traduzione di Fabio Pusterla
 
 
non avere niente,
solo sé stessi e ricordi,
passato e futuro in  perenne diatriba;
non avere niente...

domenica 10 aprile 2016

Domenicale di Aprile, di Gujil

Domenicale di Aprile
 
poco vento,
solo brezza mattutina;
ritrovo me stesso?
mi ascolto?
In un pazzo giro di cose,
le mie strade si affollano,
sono pensieri, visi, stagioni,
passato, presente, futuro.
 
Gujil
 
 

sabato 9 aprile 2016

Il pugnale, di Michail Lermontov

Il pugnale
 
 Ti amo, mio pugnale d'acciaio intarsiato,
 Compagno gelido che abbaglia.
 Un georgiano per la vendetta ti forgiò,
 Un circasso ti affilò per la battaglia.
 
 Una bianca mano a me ti ha donato
 In segno di ricordo nella separazione,
 E la prima volta non sangue da te colò,
 Ma una tersa lacrima-perla di afflizione.
 
 E fissando i neri occhi su di me,
 Ricolmi di segreto dolore,
 Come il tuo acciaio sul tremulo fuoco,
 Erano a volte buio, a volte splendore.
 
 Datomi per compagno, pegno muto d'amore,
 Su di te il viandante può contare:
 Come te, come te, amico mio d'acciaio,
 La mia anima è salda e non potrà cambiare.
 
1838

Michail Lermontov
La mia casa è sotto la volta celeste
Traduzione di Paolo Statuti
 
 
 
acciaio freddo, lucido,
come la mente quando si pensa,
senza incombenze,
senza rancori o dolori;
ricordo l'affilato pugnale,
che in me entrava...

venerdì 8 aprile 2016

Primaverile #2

adirarsi,
nei momenti difficili
della quotidianità;
inveire è da stupidi,
io sono stupido
quando urlo Dio
e non devo...
 
Gujil
 
 
 

giovedì 7 aprile 2016

Insegnamenti, di Amalia Guglielminetti


Insegnamenti
 
Ma amore in schiavitù più non mi vuole.
Il despota gettò catena e sferza
e m'addottrina d'ilari parole.

– Quand'io v'incontro, – amabile egli scherza,
– la prima volta, molto vi torturo,
ma poco la seconda e men la terza.

L'antico male col recente io curo,
e il cuor v'agguerro sì che a poco a poco
possa affrontarmi, sempre più sicuro.

E poi ch'io osservo: – Assai perverso è il gioco, –
no, – ribatte – è saggezza salutare.
Quando il bimbo sentì l'ardor del fuoco,

molto di rado tornasi a bruciare.
 
Amalia Guglielminetti
da "Le seduzioni"
 
 
cose imparate, velocemente, in fretta,
scarsi approcci dettati dal vento,
poi il chiarore lontano, sfumato:
ebbrezze dimenticate riaffiorano,
eccomi a prora, sprezzante come i giovani...

mercoledì 6 aprile 2016

L’uomo nato per coltivare, di Wendell Berry

L’uomo nato per coltivare
 
 Il piantatore d’alberi, il giardiniere, l’uomo nato per
coltivare,
 le cui mani si protendono sotto terra e germogliano,
 per lui la terra è una droga divina. Entra nella morte
 ogni anno e ne ritorna esultante. Ha visto la luce
posarsi
 sul cumulo di sterco e rialzarsi nel frumento.
 Il suo pensiero passa come una talpa lungo la cima
dei filari.
 Quale miracoloso seme avrà inghiottito
 perché il discorso ininterrotto del suo amore gli sgorghi
dalla bocca
 come una vite che s’aggrappa alla luce del sole
 e come acqua che discende nel buio?

 Wendell Berry
L'ordine della natura
 Traduzione di Paolo Severini
 
 
il nostro piccolo orto,
chi non lo ha?
ci coltiviamo di tutto,
di ogni;
qualche volta, raramente,
si raccolgono i frutti...

martedì 5 aprile 2016

Lampeggiamenti, di Arturo Graf

Lampeggiamenti
 
Buja è la notte; su per l’erto monte
Dorme la selva; in sugli aperti campi
Ristagna l’aria; in fondo all’orizzonte
Corrusca il ciel d’abbarbagliati lampi.

Buja è l’anima mia; più non mi mordi,
Acre desio, vano desio di gloria!
Freddo è il mio cor; balenano i ricordi
Sull’orizzonte della mia memoria.
 
Arturo Graf
 
 
flash impietoso
si stampa l'immagine in mente;
come un bagliore, un lume,
improvviso squarcia il buio;
l'immagine è vaga,
lampeggia  e poi scema...

lunedì 4 aprile 2016

Un colpo di dadi non abolisce mai il caso, di Andreas Embirikos

“Un colpo di dadi non abolisce mai il caso”
 
No
 Non è “l’art pour l'art”
La superiore espressione dei poeti e degli uomini
 Né il realismo socialista, che è semplicemente politica
 Né il godimento delle classi privilegiate
 Non è questa la missione dei poeti
 Perché non è possibile
 Solo con la bellezza astratta
 O con quella convenzionalmente descrittiva
 O solo con il “mostra ciò che dovresti” o con l’“infatti”
Che siano sostituiti o soffocati gli slanci degli impulsi
 Giacché la parola non è logica
 Giacché la bellezza non è estetica
 E il buono non è etica
 Giacché “un coup de dés jamais n’abolira le hasard”
Giacché uno spermatozoo soltanto basta
 Per fecondare l’ovulo della donna o la parola
 Giacché soltanto l’amore vince la morte
 La poesia sarà spermatica
 Assolutamente erotica
 O non esisterà.


Andreas Embirikos
La liberazione dell'amore
Traduzione di Massimo Cazzulo
 
 
il caso volle,
volle con decisione e forza,
così me ne andai,
il taxi sembrava triste,
pure lui...

domenica 3 aprile 2016

Lezione di anatomia, di Juan Manuel Roca

 
Lezione di anatomia
 
 Ci è stato dato il corpo
 Per tenere più vicino il nemico.
 Per vigilarlo
 E che non abbia tempo
 Di appostarsi dietro un albero
 Ad aspettare il nostro passaggio.
 Ci è stato dato il corpo
 Perché fra lui e noi
 Non ci siano terreni minati
 Né imboscate.
 Ci è stato dato senza esigerlo,
 Come al principe il trono,
 Perché non potesse
 Mescolare il vino col veleno
 Senza abdicare al suo regno.
 S’è imposta ormai l’abitudine
 Di andare col proprio corpo
 Ovunque,
 Di bagnarsi con lui
 Per evitare la sorpresa
 Di un luccichio di pugnale dietro la tenda.
 Abbiamo preso l’usanza
 Di seguire i passi del corpo
 E di tendergli la trappola dello specchio,
 Di non lasciarlo solo
 Nemmeno quando dorme.
 Ci è stato dato il corpo
 Per tenere più vicno il nemico.

 Juan Manuel Roca
Traduzione di Emilio Coco
 
 
il corpo nostro,
quello che fisicamente siamo,
le nostre forze e le debolezze,
dobbiamo sempre piacerci...

sabato 2 aprile 2016

Primaverile #1

raccolte di nuvole bige
come l'umore che porto,
lontano il consenso,
le voci di tutti, sparse,
ed un brivido freddo,
sussulto e sospiro...
 
Gujil
 
 

venerdì 1 aprile 2016

Scoglio di Quarto, di Giosué Carducci

Scoglio di Quarto
 
Breve ne l'onda placida avanzasi
striscia di sassi. Boschi di lauro
frondeggiano dietro spirando
effluvi e murmuri ne la sera.
 
Davanti, larga, nitida, candida
splende la luna: l'astro di Venere
sorridele presso e del suo
palpito lucido tinge il cielo.

 
Par che da questo nido pacifico
in picciol legno l'uom debba movere
secreto a colloqui d'amore
leni su zefiri, la sua donna

 
fisa guatando l'astro di Venere.
Italia, Italia, donna de i secoli,
de' vati e de' martiri donna,
inclita vedova dolorosa,

 
quindi il tuo fido mosse cercandoti
pe' mari. Al collo leonino avvoltosi
il puncio, la spada di Roma
alta su l'omero bilanciando,

stiè Garibaldi. Cheti venivano
a cinque a dieci, poi dileguavano,
drappelli oscuri, ne l'ombra,
i mille vindici del destino,

 
come pirati che a preda gissero;
ed a te occulti givano, Italia,
per te mendicando la morte
al cielo, al pelago, a i fratelli.

 
Superba ardeva di lumi e cantici
nel mar morenti lontano Genova
al vespro lunare dal suo
arco marmoreo di palagi.

 
Oh casa dove presago genio
a Pisacane segnava il transito
fatale, oh dimora onde Aroldo
sití l'eroico Missolungi!

 
Una corona di luce olimpica
cinse i fastigi bianchi in quel vespero
del cinque di maggio. Vittoria
fu il sacrificio, o poesia.

 
E tu ridevi, stella di Venere,
stella d'Italia, stella di Cesare:
non mai primavera piú sacra
d'animi italici illuminasti,

 
da quando ascese tacita il Tevere
d'Enea la prora d'avvenir gravida
e cadde Pallante appo i clivi
che sorger videro l'alta Roma.
 
Giosué Carducci
"Odi Barbare"
 
 
come quando, bambini, giocando,
sereni al suono del mare,
infine il ricordo, la speme,
quanto di bello c'è stato...