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venerdì 31 marzo 2017

Poscritto, di Gesualdo Bufalino


Poscritto
 
Se qualcuno stasera è infelice come me,
qualcuno come me, sprangato in una stanza,
dopo aver visto due volte lo stesso film,
solo con un baule di parole sbagliate,
di ricordi bugiardi, in un paese di neve,
fra due lenzuola bianchissime, solo;
se qualcuno stasera è come me nel mondo
uno straniero che domani se n’andrà…
Amico che di là dei monti
per ascoltarmi stringi gli occhi come una volta,
ricordi i balli prima della guerra,
e Jole e Minia e la signora forestiera,
ricordi il sole del trentanove
sui nostri visi brutti, le nostre risa di poveri,
l’intercalare  «Quien sabe?»  di moda tutta un’estate,
finché significò qualcosa…
Poi la luna si chiuse nei pozzi,
l’unghia d’inverno recise
i mazzi di robinie spruzzolati di sangue,
migrarono gli uccelli dai nidi delle caserme…
Chi guarirà dentro di noi tutti quei morti
che palpano con mani cieche
la notte smisurata che li mura?
Chi nel nero tizzone risveglierà una guancia
per ripetere «t’amo» al ponte della Bettola?
Giorni piú neri altrove m’aspettavano:
mi punse il petto la febbre
con lunghe aguzze scapole di vergine,
scaltro venne un sensale
a contare i miei passi, il mio respiro…
Insolente proposta di esistere,
inutilmente al balcone
il grido del gallo un’alba mi chiamò.
Da allora chiuso nel mio cunicolo, e pieno
d’un minuto rancore, d’un bambino rancore,
come un guardiano di faro infedele
vivo in attesa d’un naufragio, m’affeziono
ai minimi relitti che la tempesta mi porge,
dirigo sugli scogli ogni barca che mi cerca,
rido da solo strofinandomi le mani…
Dio, tu dici, o chiedi in silenzio:
a guisa dei poliziotti dei romanzi,
ho fiutato nel mondo le Sue peste;
in piedi e in ginocchio, beffato e beffardo,
l’ho ferito e chiamato, l’ho perduto e cercato,
ma il delitto dentro la stanza chiusa
s’è ripetuto ogni volta, all’improvviso…
E poi… ma addio, addio, le parole non servono.
Gesualdo Bufalino
 
 
ancora postille nella mia vita,
quante ancora? quando?
nell'inferno dell'anima
anche qualche raggio di sole...

giovedì 30 marzo 2017

Poscritto, di Seamus Heaney

Poscritto

E qualche volta trovate il tempo di andare in auto
     ad ovest
in County Clare, lungo la Flaggy Shore,
a settembre o ottobre, quando il vento
e la luce si azzuffano così che da un parte
l’oceano è pazzo di schiuma
e bagliori, e all’interno fra le pietre
la superficie di un lago color ardesia è illuminata
dal lampo terrestre di uno stormo di cigni,
le piume scompigliate e soffiate, bianco su bianco,
le teste adulte dall’aria ostinata
sommerse o affioranti o indaffarate sottacqua.
Inutile pensare di posteggiare e cogliere la scena
più completamente. Non sei né qua né là,
una fretta per cui passano cose note e ignote 
mentre forti morbide folate prendono l’auto di sbieco
e sorprendono il cuore sovrappensiero e lo aprono
     d’un soffio.

                 
Seamus Heaney
Traduzione di Massimo Bacigalupo
 
 
p.s.,
per le dimenticanze o gli improvvisi ricordi,
una frease lì, buttata, imprevedibile;
negli occhi brillano luci solari e livide,
qualche volta però lo sguardo si spegne...

mercoledì 29 marzo 2017

Madre notte, di arturo Graf

Madre notte
 

In principio era il bujo. O Madre Notte,
Prima, invitta, superba, ultima dea!
Quanto vive nel tuo grembo si crea,
Quanto vive nel tuo grembo s’inghiotte.
 
Tu pietosa e crudel, tu santa e rea,
Tu d’attonite paci empi e di lotte
Formidabili il tempo e le incorrotte
Vacuita della tua buja idea.
 
Con lo sdegnoso pie tu calchi i vinti
Secoli, ed il lor numero non sai,
E con gli astri la tua man si trastulla.
 
Tu con l’anime nostre e co’ dipinti
Nostri pensieri arabescando vai
La disperata immensita del nulla.
 
Arturo Graf
 
 

la notte, la notte che copre,
quella che avanza e tu non dormi,
un'altra ti culla dopo l'amplesso
e una è sempre di ansiosa attesa...



 

martedì 28 marzo 2017

Vita felix, di Maria Grazia Calandrone

Vita felix

Immaginavamo navi
come le stimmate del mare – immaginavamo
     navi
come steli di fiori marini e vette

di mare in terra – immaginavamo il rumore
     dell’isola, il mare che batteva come una
     fontana
alta e la terra era impregnata e dolce
e senza dolore e certamente questo
     immaginare
era tornare
al paradiso per la strada aperta
dalle parole e i corpi
si muovevano tenui e disumani come se
     il mondo dovesse ancora venire.
     Se tu parlavi io vedevo l’isola
dove i morti chiariscono
corpi fatti di rami e fili d’erba,
stanno seduti con il sole in faccia sulla
     piccola costruzione del molo. Falde
     di luce che perfezioniamo.
Se tu parlavi io vedevo l’isola
con il giallo sferzante delle ginestre, l’attracco
silenzioso delle barche, la piazzetta in
     cemento, i cubi bianchi
dove siedono parallele le nostre figure
con occhi carichi di sguardo umano
e gli affetti lasciati nelle case
come una foce dimenticata.
Siamo una compagine di vento
un canneto di carne lapidata
un fluttuare canoro di risorti
che perdono
lacrime
dall’occhio interno
perché il vento deve restare vento
e la cenere cenere fino alla fine del mondo
perché questo lasciare che accada
è piú dell’amore, questo dire
chi deve andare vada.


Maria Grazia Calandrone
Roma, 26 febbraio 2009
Sulla bocca di tutti
 
 
comunque è la vita,
che piaccia o meno è nostra;
abbiamo coraggio e paure,
siamo stolti e avveduti...

lunedì 27 marzo 2017

Orgoglio, di Anonimo

Orgoglio
 
Ebbro di me non vedo
cosa che dico, che pongo,
come stupido tiranno dispongo
ciò che importante credo
sopra di tutto, di loro
ma adesso è tardi
torno al lavoro.
 
Anonimo
del XX° Secolo
poesie ritrovate
 
 

domenica 26 marzo 2017

Oblio, di Amalia Guglielminetti

 
Oblio

Son qui raccolta in un oblio profondo
contro il tuo cuore. Credo che ancor siamo
nella vita, ma già fuori del mondo.

So che tu mi desideri e ch'io t'amo,
e tutto che oltre questo è gioia o pena
o bene o male noi dimentichiamo.

Ho il senso di volar su un'altalena
vertiginosa, come fanciulletta
balzavo nell'azzurrità serena.

Ne discendevo con la gola stretta
dal batticuore e con sperduti sguardi,
come or che tu m'avverti: – Il tempo ha fretta

di separarci, o amore. Andiamo, è tardi.
 
Amalia Guglielminetti
 
 
nel nulla dell'oblio avvolto,
mi sento quando non riesco,
quando non penso e non sento;
dolce mi è naufragar..?
 

sabato 25 marzo 2017

Il sepolcro, di Jurij andruchovic

Il sepolcro

ed ecco ci siamo tutti riuniti l'intera famiglia
quando gli inservienti del cimitero hanno reciso
un raggio incerto dietro l'ultimo di noi
ci siamo rincontrati come negli ultimi tempi
del gioco in borsa
delle corse in carrozza
dei balli domenicali al club fuori città
siamo coricati sul pavimento duro
sotto una coppa di marmo
pesante per le foglie secche e l'acqua piovana
comunque in compagnia dignitosa
a destra un magnate dello zucchero
a sinistra un tenore d'opera
non sentiamo l'acqua che scorre il vento che sibila ma
a volte in una notte sorda tremiamo
quando i giovani intonano una canzone indolente
ritornando nei sobborghi operai
a ora tarda dal ballo 

 
Jurij Andruchovic
Traduzione di Paolo Galvagni

 
 
sarà per tutti un attimo, solo un istante,
nel fumo accecante di sigarette scadenti,
nel sapore acre di cibi di strada,
partiremo nel viaggio scopriremo

venerdì 24 marzo 2017

Voglio finalmente sapere tutto del dolore!, di Christine Lavant

Voglio finalmente sapere tutto del dolore!
Rompi la campana di vetro della devozione
e porta via l'ombra del mio angelo.
Voglio andare là, dove la tua mano rinsecchisce
nel cervello dei pazzi, nella crudeltà
di cuori rattrappiti che, morsi dall'ira,
si lacerano da soli per spargere la rabbia
nel sangue del mondo.
Il mio angelo se ne va, con la tenda della grazia
sulle spalle, e una scintilla delle tue braci
ha fuso ora tutto il vetro.
Sono colma di superbia e rumino il coraggio
pazzo e borioso, l'ultimo pane che mi resta
da tutto il raccolto della devozione.
Sei stato molto benevolo, Signore, e molto intelligente,
perché senza di te la campana di vetro l'avrei rotta io.
Adesso voglio dare la caccia al mio cuore con i cani
e farlo sbranare, per risparmiare
un lavoro ributtante alla morte.
Sia grazie a te – ora ne so abbastanza.


Christine Lavant
Porta via l'ombra del mio angelo
Traduzione di Anna Ruchat
 
 
vorrei non sapere niente del dolore,
eppure c'è vive in me, in noi tutti;
sapere condiziona la vita, le cose,
sapere assomma iperboliche situazioni...

giovedì 23 marzo 2017

Quando un dì vedremo, di Anonimo

 
Quando un dì vedremo
 
Quando un dì vedremo
le nostre cose riaffiorare al sole,
ci lasceremo dietro il peso,
questa spoglia che va deperendo.
 
Quando un dì vedremo
la luce bella come non mai
ci lasceremo intorno pianti
e qualche sospiro di sollievo.
 
Quando un dì vedremo
il nostro essere intero
saremo noi, con noi, con loro
ed un attimo sarà il tutto, sempre.
 
Anonimo
del XIX° Secolo
poesie ritrovate

mercoledì 22 marzo 2017

Ultimo amore, di Arturo Graf

Ultimo amore
 
I.
Era il suo primo amor, l’ultimo mio!
Gli anni senza merce faccian lor corso,
Dieno pur nel mio cor, dieno di morso;
Esso trionfera gli anni e l’obblio.

Dolce ricordo, angustioso e pio;
Mia suprema sciagura e mio conforto!
Meco vivra, morra quand’io sia morto:
Era il suo primo amor, l’ultimo mio!

II.
Di sua persona ell’era esile e sciolta,
Tutta una gentilezza ed un candore;
A volerla abbracciar solo una volta
Temuto avresti di spezzarne il fiore.

Un soave nitor di fiordaliso
Nel suo volto di vergine splendeva;
Breve e di rado l’allegrava un riso,
Ma inteneriva il cor quando rideva.


Era la fronte sua d’un velo ingombra
Di dolor consueto, intimo, arcano;
Tremar parea ne’ suoi grand’occhi l’ombra
D’alcuna cosa sospirata invano.

E spesso, senza usar d’altra favella,
Lo sguardo nell’altrui volto fissava,
Seria, sicura: l’anima cercava
Inconsciamente l’anima sorella.

E della prima volta mi rammento
Che cosi gli occhi nel mio volto mise:
Quando li richino dopo un momento
Arrossi leggermente e poi sorrise.

III.
L’anima giovinetta ancor non era
liberamente nel suo fior dischiusa
E gia d’una ineffabile, severa
Mestizia tutta si vedea suffusa.

Ombra d’arcane ritrosie, secreto
Antiveder di tenebrosi eventi,
Un terror della vita, un inquieto
Senso d’inevitabili cimenti,

Di villanie codarde, ove smarrita,
Senza difesa, nell’altrui balia,
Miseramente la sua stanca vita,
Il suo povero cor sciupato avria.


IV.
Come m’amo? perche m’amo, che lesse
Sulla mia fronte impallidita e china?
Indovino l’abisso e la ruina?
Vide nel cor le cicatrici impresse?

Vide e senti quella che l’alme lega
Comunion d’affetto e di pensiero?
Chi mel dira? chi gliel dira? mistero
E supremo d’amor, nessun lo spiega.

V.
Ma io tra me diceva: I pensier miei
Sono una landa desolata e scura;
Dove porro, dove porro costei
Che di gel non vi muoja e di paura?

Nel mio cor c’e la morte e l’abbandono;
Una bruciata selce, ecco il mio core!
Dove trapiantero, tristo ch’io sono,
Questo leggiadro e delicato fiore?

VI.
E un di (come m’avvenne?) un di m’accorsi
Di cominciare a riamar; nel petto
Sentii rifar la vita e a lunghi sorsi
Bevvi la volutta del novo affetto.


E fui lieto e sperai! ma gia da tergo
M’incalzava il destin: tremando infransi
Il mio vano pensier, ruppi l’usbergo
Delle speranze mal temprate e piansi.

VII.
Giunta la sera ch’ebbi a dirle addio,
Noi l’un dell’altro sedevamo a fronte:
Moriva il sol fra mezzo a un turbinio
Di sanguinose nubi all’orizzonte.

Pallida ell’era e fredda e sbigottita,
E tutto in un pensier l’animo assorto,
Convulsamente fra le bianche dita
Volgea non so che fior gracile e smorto,

E indietro alquanto il bel capo travolto,
Ambe le man congiunte in sui ginocchi,
Senza dir verbo mi fissava in volto
E mi beveva l’anima con gli occhi.

VIII.
Piu non contemplo il suo leggiadro viso,
Piu ’l dolce e schietto favellar non odo,
Piu non m’allieto del soave riso,
Piu del gentile suo stupor non godo;

Ma della immagin sua l’anima ho piena,
Ma del ricordo il mio pensier trabocca;


Sempre in mezzo del core ho la sua pena,
Sempre il suo nome benedetto ho in bocca.
E quando in ciel regna la notte, o quando
M’occupa un greve sonno il corpo affranto,

Come un lamento soffocato e blando
Ne’ travolti miei sogni odo il suo pianto.

IX.
Poveri versi miei, nati e cresciuti
Dove raggio di sol piu non arriva,
Ben sapete s’io v’ho con la piu viva
Parte di me medesimo tessuti.

Poveri versi miei, s’unqua si dia
Ch’ella oda il mesto suon che in voi si frange,
Potra saper come si strugge e piange
Lunge da lei l’afflitta anima mia.
 
Arturo Graf
 
 
ci sarà sempre un ultimo amore,
quello che non si riesce, non si può;
ci si consuma le forze, si tiene lontano,
a volte neanche lo sa...

martedì 21 marzo 2017

23, di Miguel Hernández

23

Se noi vivessimo
quanto la rosa, con la sua intensità,
il profondo profumo dei corpi
sarebbe maggiore.


Ah, breve, intensa vita
di un giorno eterno di rose,
sei passato per la casa
uguale, uguale, uguale
a una meteora ferita, fragrante
di bellezza e verità.


L'orma che hai lasciato è un abisso
di rose disfatte
ove un profumo persistente spinge
i nostri corpi ad andare lontano
.

Miguel Hernández
Quaderno di assenze
Traduzione di Gabriele Morelli 
 
 
i fiori ora arrivano, è Primavera,
tra un po' le rose, così amate,
così curate da loro, ovunque,
rosa, rosae, rosae...

lunedì 20 marzo 2017

Adesso che il tempo..., di Patrizia Cavalli

Adesso che il tempo sembra tutto mio
e nessuno mi chiama per il pranzo e per la cena,
adesso che posso rimanere a guardare
come si scioglie una nuvola e come si scolora,
come cammina un gatto per il tetto
nel lusso immenso di una esplorazione, adesso
che ogni giorno mi aspetta
la sconfinata lunghezza di una notte
dove non c'è richiamo e non c'è più ragione
di spogliarsi in fretta per riposare dentro
l'accecante dolcezza di un corpo che mi aspetta,
adesso che il mattino non ha mai principio
e silenzioso mi lascia ai miei progetti
a tutte le cadenze della voce, adesso
vorrei improvvisamente la prigione.
 
Patrizia Cavalli
 

 
è vero, dov'è la prigione?
ora che le distrazioni sono minime,
ora che il suono è più ovattato,
adesso che il tempo imperterrito incombe...

domenica 19 marzo 2017

Serenata, di Norbert Conrad Kaser

Serenata

così le notti stanno intrepide sulla neve
il giorno si è smarrito dietro i salici bianchi
ragazza mia
ragazza mia
Tu
sei lontana

non so se ora pensi o
sogni o dormi
intrepide stanno le nostre notti
separate
come le orme dei corvi
sui giardini
qui e lì

 
 Norbert Conrad Kaser
La dolcezza della ribellione
Traduzione di Gio Batta Bucciol
 
 
tra canzoni e rime baciate
suoni alla bella di turno,
a lei,
poi caduche situazioni e corpi
lontane passioni a volte passive...

sabato 18 marzo 2017

Certi alberi, di John Ashbery


Certi alberi

Questi sono stupefacenti: accosto
ciascuno al vicino, come se il discorso
fosse una messa in scena silente.
Dandoci stamane casualmente

appuntamento così tanto via
dal mondo quanto in armonia
con esso, io e te
siamo d’improvviso ciò che

gli alberi cercano di dirci
che siamo: che il loro mero esserci
ha significato; che potremo toccare
presto, e amare e spiegare.

E lieti di non avere inventato
noi tale grazia, ne siamo circondati:
un silenzio già colmo di rumori,
una tela su cui affiori

un coro di sorrisi, d’inverno, un mattino.
Posti in una luce sconcertante, e in cammino,
i nostri giorni indossano una tale reticenza
che questi accenti paiono la loro
                         stessa resistenza.
 
John Ashbery
Traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan
 
 
 
alti fusti ombreggiano resorgive
e strade della mia giovinezza,
un carro pieno di fieno, un cavallo,
due giovani falci già vecchie...

venerdì 17 marzo 2017

Sogni, di Anonimo

Sogni
 
Dai sogni al presente
si sveglia la mente
dopo, passata la notte
e accorrono a frotte
cose nascoste, sopite.
Come un giro di vite
la testa riprende percorsi
come fossero piccoli sorsi
di acqua, quando assetati
gli uomini pregano grati
per quello che hanno
per ciò che non sanno.
 
Anonimo
del XXI° Secolo
poesie ritrovate
 
 

giovedì 16 marzo 2017

Nominativi fritti e mappamondo..., di Domenico Di Giovanni

Nominativi fritti e mappamondi
e l’arca di Noè fra duo colonne
cantavan tutti ‘Kyrieleisonne’
per la ’nfluenza de’ taglier mal tondi.
 La luna mi dicea “Ché non rispondi?”.
E io risposi “I’ temo di Giansonne,
però ch’i’ odo che ’l dïaquilonne
è buona cosa a fare i cape’ biondi”.
Et però le testuggine e’ tartufi 
m’hanno posto l’assedio alle calcagne,
dicendo:”Noi vogliàn che tu ti stufi”,
e questo sanno tutte le castagne:
perché al dì d’oggi son sì grassi e gufi
c’ognun non vuol mostrar le suo magagne. 
E vidi le lasagne
andare a Prato a vedere il sudario,
e ciascuna portava lo ’nventario.
 
Domenico Di Giovanni
detto "Il Burchiello"
 
 
aria fritta abbiamo detto,
di cose di stupida importanza;
il mio mappamondo è chiuso,
da tempo, da troppo tempo

mercoledì 15 marzo 2017

Giorni di minime #46

ho visto il mare, ieri, stamane,
l'ho visto negli occhi della gente,
nei percorsi obbligati delle vite,
quelle che mi scorrono incontro;
qualche volta è un rivolo quieto
altre un fiume sempre in piena...
 
Gujil

 
 

martedì 14 marzo 2017

Marzo, di Carlo Michelstaedter

Marzo
 
Marzo ventoso
mese adolescente
marzo luminoso
marzo impenitente.
Marzo che fai tuoi giochi
con le nuvole in alto
e con l'ombra e le luci
dài mutevol risalto
alla terra stupita
alla terra intorpidita,
mentre dal seno le strappi
e le primole e le rose
e fresch'acque rigogliose
lieto fai rigorgogliare.
Ed il passero riscuoti
con la tua folle ventata
nella sua grondaia secca
nella siepe denudata.
Spazzi i portici e le calli
e la nebbia nelle valli
e la polvere degli avi
e i propositi dei savi
rompi e l'ombra delle chiese.
Ed il pavido borghese
che nell'essa porta il gelo
dell'inverno trapassato
e col corpo imbarazzato
geme il reuma ed il torpore,
che nel volto porta il velo
della noia ed il pallore
della diuturna morte,
si rinchiude frettoloso
si rinvoltola accidioso
e rincardina le porte.
Se lo scuoti e lo palesi,
marzo giovane pazzia,
la sua trista nostalgia
sogna il sonno di sei mesi.
Ei ti teme, dolce frate
marzo, terrore giocoso
ma tu passi vittorioso
sbatti gli usci e le impannate
con le tue folli ventate.
E la densa polve sveli
nel tuo raggio popolato
e sul legno affumicato
i vetusti ragnateli.
Poich'il termine al riposo
canti, marzo adolescente,
t'odia questa buona gente,
marzo luminoso.
Ma se t'odiano addormiti
nelle coltri riscaldate
ed i passeri impauriti
nelle siepi denudate,
t'ama il falco su nell'aria
che più agile si libra
nella tua ventata varia
e la sente in ogni fibra
lieto nella tua procella,
ché per lei si fa più bella
ché per lei si fa più pura
ai suoi occhi la natura.
Marzo mese luminoso
marzo adolescente
marzo mese irriverente
marzo ventoso.

Carlo Michelstaedter
1° marzo 1910
 
 
Marzo nell'ansia, al petto, alla gola,
tutto è così difficile, pesante,
vorrei fuggire, ripararmi,
ma dove? dove?...