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venerdì 8 ottobre 2021

Ritorno, di Luigi Pirandello

ritornare, quante volte, sempre,
nei luoghi amati un tempo, ora vuoti;
mi libero spesso da legami potenti eppure
ritrovo i pensieri di ieri, oggi...

 
Ritorno 
 
Ecco la casa antica, ecco il terrazzo. 
càssero d’una nave a cui volgea 
prospera allora e lieta la fortuna. 
Ero ragazzo, 
e di lí m’affacciavo a rimirare, 
con una vaga idea 
del mondo e della vita, a lungo il mare 
e questa dolce luna 
che, come allora, un palpito v’accende 
d’innumeri faville ed un solingo 
grillo ne la scogliera 
desta, il cui canto vince il borboglío 
continuo di tutta la riviera.
 
Ricordo che ogni sera, 
non certo questo, un altro grillo, il mio 
fantastico e ramingo 
spirito richiamava a questa pace 
un borgo addormentato innanzi al mare, 
dopo il fragore assiduo del giorno, 
del traffico vorace 
del molo là fitto di navi e lungo 
la spiaggia irta di zolfo accatastato.
 
E sentivo il conforto 
che doveva venire a quelle navi 
dal lor sicuro placido soggiorno 
nell’amplesso del porto; 
che lontano da tutto e da me stesso 
teneami allora un’ansia smaniosa 
d’ignota attesa, e incerta 
mi sembrava e precaria ogni cosa.
 
Oh tu che stavi lí quasi ogni sera 
curvo su la ringhiera 
di quel terrazzo, guarda qui, su questo 
balconcino modesto 
della casa vicina, e ascolta il suono 
della mia voce. Non la riconosci? 
Io son qua. Chi sono? 
Son questa mia tristezza, ancora in piedi, 
e affaticata e rotta i sogni tuoi? 
e tu, caro ragazzo, tu che vuoi? 
tu che guardi costà la luna e il porto, 
un’ombra sei, sei morto, 
sei forse un cencio appeso 
all’antica ringhiera del terrazzo, 
e di te morto in me ben sento il peso.
 
Cresciuto è il borgo e son compiute ormai 
le due nuove scogliere, 
braccia protese alle lontane genti 
di tutte le bandiere.
 
Quando su queste desolate ardenti 
sabbie sorgean poche e modeste case, 
e in mezzo al viavai 
di tanti carri, dalla torre antica 
usciano alla fatica 
i galeotti rasi, trascinando 
con stridor lungo la catena a schiera; 
e un banditore all’alba, ogni mattina, 
fiero nel volto, cotto 
dal sole, alzava a le mascelle vaste 
la man villosa e con stentorea voce 
tre volte, urlava il bando: 
«O uomini di mare, 
venite a lavorare alla marina!»; 
e accorrean tutti, scamiciati e scalzi, 
alle stadere, presso le cataste 
di zolfo e, curvi sotto 
il giallo incarco stridulo, nel mare 
entravano, vociando, in fila, e poi 
cariche andavano a vela oltre il porto 
le spigonare 
(vita e fatiche di selvaggi eroi); 
avea mio padre, avventuroso e accorto 
mercante, amica la fortuna, e quante 
venian di Francia navi 
e navi d’Inghilterra, 
tutte per lui se ne partiano gravi 
di zolfo o per Levante 
o verso Gibilterra.
 
Cangiò fortuna. Ed ora la ricchezza 
altrui, di chi gli fu minore, sembra 
un’ingiuria al caduto, 
per quanto vecchio, adatto ancor di membra, 
il traffico cresciuto 
con torva angoscia egli da lungi spia, 
mentre la mamma mia, 
che fu sempre signora, 
pallida e curva nella poverta’ 
solo per lui s’accora; 
guarda la casa accanto 
dall’aereo terrazzo, ove felice 
visse la famigliuola, 
ma serra in cuore il pianto; 
e sconsolata e sola 
neppur tra se con un sospiro dice: 
«Quando stavamo là…». 
 
Porto Empedocle, Settembre 1910

 Luigi Pirandello

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