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lunedì 31 maggio 2010
Sempre in attesa, continua lo stillicidio di energie e risorse.
Mi sento più vecchio e comincio ad eseere stanco e ad avere timore di quello che potrebbe succedere. Non ho paura del dolore, ho paura della tristezza, della malinconia che mi prende ogni volta che fermo lo sguardo su quello che amo. Chissà se sarà ancora lunga questa perigliosa attraversata. Questa cosa che cresce dentro di me come un figlio non mi ama ma è mia, come tutti i pensieri che faccio.
Che disperata sensazione di angoscia che provo!
domenica 30 maggio 2010
venerdì 28 maggio 2010
giovedì 27 maggio 2010
martedì 25 maggio 2010
lunedì 24 maggio 2010
Nell'attesa si bruciano energie.
E' un dato di fatto ma non ci sono alternative, quando si aspetta qualcosa la tensione aumenta e il timore si affaccia sempre, come se non bastasse, a creare quel clima di sospensione che a volte è addirittura insopportabilmente pesante.
Non è detto che aspettare sia obbligatoriamente negativo, dipende da che cosa si aspetta!
Nel mio caso l'attesa è ferocemente lesiva e benchè mi sforzi alla tranquillità, faccio decisamente fatica a tenere un atteggiamento civile e posato...vorrei urlare e scaricare la tensione rompendo le cose che mi capitano davanti.
Scrivo in verde ed è tutto dire!
---
Il poeta
Il poeta, o vulgo sciocco,
Un pitocco
Non è già, che a l'altrui mensa
Via con lazzi turpi e matti
Porta i piatti
Ed il pan ruba in dispensa.
E né meno è un perdigiorno
Che va intorno
Dando il capo ne' cantoni,
E co 'l naso sempre a l'aria
Gli occhi svaria
Dietro gli angeli e i rondoni.
E né meno è un giardiniero
Che il sentiero
De la vita co 'l letame
Utilizza, e cavolfiori
Pe' signori
E viole ha per le dame.
Il poeta è un grande artiere,
Che al mestiere
Fece i muscoli d'acciaio:
Capo ha fier, collo robusto,
Nudo il busto,
Duro il braccio, e l'occhio gaio.
Non a pena l'augel pia
E giulía
Ride l'alba a la collina,
Ei co 'l mantice ridesta
Fiamma e festa
E lavor ne la fucina:
E la fiamma guizza e brilla
E sfavilla
E rosseggia balda audace,
E poi sibila e poi rugge
E poi fugge
Scoppiettando da la brace.
Che sia ciò, non lo so io;
Lo sa Dio
Che sorride al grande artiero.
Ne le fiamme cosí ardenti
Gli elementi
De l'amore e del pensiero
Egli gitta, e le memorie
E le glorie
De' suoi padri e di sua gente.
Il passato e l'avvenire
A fluire
Va nel masso incandescente.
Ei l'afferra, e poi del maglio
Co 'l travaglio
Ei lo doma su l'incude.
Picchia e canta. Il sole ascende,
E risplende
Su la fronte e l'opra rude.
Picchia. E per la libertade
Ecco spade,
Ecco scudi di fortezza:
Ecco serti di vittoria
Per la gloria,
E diademi a la bellezza.
Picchia. Ed ecco istoriati
A i penati
Tabernacoli ed al rito:
Ecco tripodi ed altari,
Ecco rari
Fregi e vasi pe 'l convito.
Per sé il pover manuale
Fa uno strale
D'oro, e il lancia contro 'l sole:
Guarda come in alto ascenda
E risplenda,
Guarda e gode, e più non vuole.
---
Giosuè Carducci
sabato 22 maggio 2010
venerdì 21 maggio 2010
Le non Godute
Desiderate più delle devote
che lasceremmo già senza rimpianti,
amiche alcune delle nostre amanti,
altre note per nome ed altre ignote
passano, ai nostri giorni, con il viso
seminascosto dal cappello enorme,
svegliando il desiderio che dorme
col baleno degli occhi e del sorriso.
E l'affanno sottile non ci lascia
tregua; ma più si intorbida e si affina
idealmente dentro la guaina
morbida della veste che le fascia...
Desiderate e non godute - ancora
nessuna prova ci deluse - alcune
serbano come una purezza immune
dalla folla che passa e che le sfiora.
Altre, consunte, taciturne, assorte
guardano e non sorridono: ma sembra
che la profferta delle belle membra
renda l'Amore simile alla Morte;
ardenti tutte d'una febbre e cieche
di vanità; biondissime, d'un biondo
oro, le cinge il pettine, secondo
l'antica foggia delle donne greche.
Per altre, il nodo greve dell'oscura
treccia è d'insostenibile tormento;
sembra che il collo, esile troppo, a stento,
sorregga il peso dell'acconciatura;
l'opera dei veleni in altre adempie
un prodigio purpureo: le chiome
splendono di riflessi senza nome
dilatandosi ai lati delle tempie...
Belle promesse inutili d'un bene
lusingatore della nostra brama,
quando una sola donna che non s'ama
c'incatena con tutte le catene;
quando ogni giorno l'anima delusa
sente che sfugge il meglio della vita,
come sfugge la sabbia tra le dita
stretta nel cavo della mano chiusa...
Le incontrammo dovunque: nelle sere
di teatro, alla luce che c'illude;
la bella curva delle spalle ignude
ci avvinse del suo magico potere;
e quando l'ombra si abbatté su loro
addensandosi cupa entro le file
dei palchi, il freddo lampo d'un monile
fu l'indice del duplice tesoro.
E le avemmo compagne, ma per brevi
ore, in vïaggi taciti, in ritorni,
le ritrovammo dopo pochi giorni
nei rifugi dell'Alpi, tra le nevi;
le ritrovammo sulla spiaggia, al mare,
dove la brama ci ferì più acuta:
ah! Per quella signora sconosciuta
ore insonni, nella notte, lungo il mare!...
Chi sono e dove vanno? Dove vanno
le crëature nomadi? Per quanti
anni, nel tempo, furono gli amanti
presi e delusi dall'eterno inganno?
Ah! Noi saremmo lieti d'un destino
impreveduto che ce le ponesse
a fianco, tristi e pellegrine anch'esse
nel nostro malinconico cammino.
Più d'un inganno lasciò largo posto
a più d'una ferita ancora viva...
Taluna - intatta - ci attirò furtiva
seco, ma per un utile nascosto;
altre, già quasi vinte, quasi dome,
nella nostra fiducia troppo inerte,
fantasticate quali prede certe,
furono salve, non sappiamo come...
Ed altre... Ma perché tanti ricordi
salgono dall'inutile passato?
Salgono col profumo del passato
da un cofanetto pieno di ricordi?
Ed ecco i segni, ecco le cose mute,
superstiti d'amori nuovi e vecchi,
lettere stinte, nastri, fiori secchi,
delle godute e delle non godute...
Desideri e stanchezze, indizi certi
d'un avvenire dedito all'ambascia
torbida che si schianta e che ci sfascia
rendendoci più tristi e più deserti...
Eppure, un giorno, questa febbre interna
parve svanire: quando ci si accorse,
tardi, di quella che sarebbe forse
per noi la sola vera amante eterna...
Tanto l'amammo per quel solo istante
ch'ella si volse pallida su noi
nell'offerta di un attimo, ma poi,
sparve, ella pure; sparve come tante
altre donne che passano, col viso
seminascosto dal cappello enorme
inasprendo la brama che non dorme
col baleno degli occhi e del sorriso...
Guido Gozzano
giovedì 20 maggio 2010
mercoledì 19 maggio 2010
Ballata delle Donne
Quando ci penso, che il tempo è passato,
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.
Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.
Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.
Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.
Femmina penso, se penso l'umano
la mia compagna, ti prendo per mano.
le vecchie madri che ci hanno portato,
poi le ragazze, che furono amore,
e poi le mogli e le figlie e le nuore,
femmina penso, se penso una gioia:
pensarci il maschio, ci penso la noia.
Quando ci penso, che il tempo è venuto,
la partigiana che qui ha combattuto,
quella colpita, ferita una volta,
e quella morta, che abbiamo sepolta,
femmina penso, se penso la pace:
pensarci il maschio, pensare non piace.
Quando ci penso, che il tempo ritorna,
che arriva il giorno che il giorno raggiorna,
penso che è culla una pancia di donna,
e casa è pancia che tiene una gonna,
e pancia è cassa, che viene al finire,
che arriva il giorno che si va a dormire.
Perché la donna non è cielo, è terra
carne di terra che non vuole guerra:
è questa terra, che io fui seminato,
vita ho vissuto che dentro ho piantato,
qui cerco il caldo che il cuore ci sente,
la lunga notte che divento niente.
Femmina penso, se penso l'umano
la mia compagna, ti prendo per mano.
Edoardo Sanguineti
"Il gatto lupesco" poesie 1982-2001
Feltrinelli
Quando muore un poeta
si spegne una stella nell'Universo
e diminuisce di un nulla
la solitudine di Dio
martedì 18 maggio 2010
Il responso
"Or vado, Marta, suona la mezzanotte..." O casa
di pace, o dolce casa di quell'amica buona...
L'alta lucerna ingombra segnava in luce i rari
pizzi dei suoi velari, ergendosi nell'ombra
come un piccolo sole... Durava nella stanza
l'eco d'una speranza data senza parole.
Nella zona di luce v'erano fiori, carte,
volumi, sogni d'arte... Contro una stampa truce
del Durero, una grigia volpe danese il terso
muso tendeva verso l'alto, con cupidigia.
C'era un profumo mite che mi tornava bimbo:
...un gracile corimbo di primule fiorite.
E c'era una blandizie mondana acuta fine:
...di essenze parigine, di sigarette egizie...
C'era un profumo forte che inebbriava i sensi:
...i bei capelli densi come matasse attorte...
Sotto il prodigio nero di quella chioma unica,
vestita di una tunica molle, di foggia "impero".
Marta teneva gli occhi assorti ed un pugnale
fra mano, e non so quale volume sui ginocchi.
Tagliava, china in non so che taciturna indagine,
lentamente le pagine del gran volume intonso.
"La mezzanotte, Marta..." Non mi rispose, udivo
soltanto il ritmo vivo del ferro nella carta.
La taciturna amica con quel volume austero
m'apparve nel mistero d'una sibilla antica.
"Se le dicessi? Sa ella, forse, il responso,
forse nel libro intonso legge la Verità!"
E a quella donna, avezza a me come a un fratello
buono, mi parve bello dire la mia tristezza.
Ah! Se potessi amare! - Vi giuro, non ho amato
ancora: il mio passato è di menzogne amare.
- Mi piacquero leggiadre bocche, ma non ho pianto
mai, mai per altro pianto che il pianto di mia Madre.
Come una sorte trista è sul mio cuore, immagine
(se vi piace l'immagine un poco secentista)
d'un misterioso scrigno d'ogni tesoro grave,
me ne gittò la chiave l'artefice maligno,
l'artefice maligno, in chi sa quali abissi...
Marta, se rinvenissi la chiave dello scrigno!
Se al cuore che ricusa d'aprirsi, una divota
rechi la chiave ignota dentro la palma chiusa,
per lei che nel deserto farà sbocciare fiori,
saran tutti i tesori d'un cuore appena aperto.
Perché, Marta, non sono cattivo, non è vero?
O Marta non è vero, dite, che sono buono?
Molte mani soavi apersi a poco a poco
come si fa nel gioco, ma non trovai le chiavi.
O dita appena tocche, forse amerò domani!
e abbandonai le mani e ribaciai le bocche...
Ma pesa la menzogna terribilmente! O maschera
fittizia che mi esaspera nell'anima che sogna!
Perché, Marta, non sono cattivo, non è vero?
O Marta non è vero, dite, che sono buono?
Tutte, persin le brutte, mi danno un senso lento
di tenerezza... "Sento" - risi - "di amarle tutte!
Non sorridete, Marta?" Non sorrideva. Udivo
soltanto il ritmo vivo del ferro nella carta.
E ripensavo: - Se ella, forse, il responso,
forse nel libro intonso legge la Verità -.
"Nel cuore senza fuoco già l'anima è più stanca,
più d'un capello imbianca, qui, sulla tempia, un poco.
Ogni sera più lunge qualche bel sogno è fatto:
aspetta il cuore intatto l'amore che non giunge
O beva chi non beve, doni chi si rifiuta
prima che sia compiuta la mia favola breve!
Fanciullo, e verrai tu, compagno alato della
seconda cosa bella - il non essere più -
verrai con bende e dardi, anche, Fanciullo, a me?
O amare prima che si faccia troppo tardi!
L'amore giungerà, Marta?" (Nel libro intonso,
pensavo, ecco il responso lesse di Verità)
"l'Amore come un sole" (durava nella stanza
l'eco d'una speranza data senza parole)
"irraggerà l'assedio dell'anima autunnale,
se pure questo male non è senza rimedio..."
Ella dal Libro, in quiete, tolse l'arme, mi porse
l'arme. Rispose: "Forse! - Perché non v'uccidete?".
Guido Gozzano
lunedì 17 maggio 2010
La forza di reazione che ho dentro di me cerca di sopraffare il senso di paura che aleggia intorno alle prove di questa settimana infernale, piena di insidiose trappole mentali alle quali devo assolutamente oppormi.
Gli attimi riflettono anche i pensieri più reconditi ed è da questi che mi devo guardare e difendere, devo muovere le positività verso il mio orizzonte temporalmente più adatto, quello più piacevole e sicuro.
Non è facile, ma nemmeno impossibile.
La prova di forze deve essere gestita con astuzia e strategica abilità, deve essere costantemente alimentata da pensieri positivi e massima fiducia.
I disegni possono essere modificati ed i tratti a matita sono ancora leggeri e non è difficile modificarli coi colori sgargianti che mi sono usuali.
Hold on!
domenica 16 maggio 2010
Sous vos longues chevelures...
Sous vos longues chevelures, petites fées,
Vous chantâtes sur mon sommeil bien doucement,
Sous vos longues chevelures, petites fées,
Dans la forêt du charme et de l'enchantement.
Dans la forêt du charme et des merveilleux rites,
Gnomes compatissants, pendant que je dormais,
De votre main, honnêtes gnomes, vous m'offrîtes
Un sceptre d'or, hélas ! pendant que je dormais.
J'ai su depuis ce temps que c'est mirage et leurre
Les sceptres d'or et les chansons dans la forêt ;
Pourtant, comme un enfant crédule, je les pleure,
Et je voudrais dormir encor dans la forêt.
Qu'importe si je sais que c'est mirage et leurre !
Jean MORÉAS,
Sous vos longues chevelures, petites fées,
Vous chantâtes sur mon sommeil bien doucement,
Sous vos longues chevelures, petites fées,
Dans la forêt du charme et de l'enchantement.
Dans la forêt du charme et des merveilleux rites,
Gnomes compatissants, pendant que je dormais,
De votre main, honnêtes gnomes, vous m'offrîtes
Un sceptre d'or, hélas ! pendant que je dormais.
J'ai su depuis ce temps que c'est mirage et leurre
Les sceptres d'or et les chansons dans la forêt ;
Pourtant, comme un enfant crédule, je les pleure,
Et je voudrais dormir encor dans la forêt.
Qu'importe si je sais que c'est mirage et leurre !
Jean MORÉAS,
Les Cantilènes (1886)
Sotto le vostre lunghe chiome...
Sotto le vostre lunghe chiome, piccole fate
Cantaste sul mio sonno piano piano
Sotto le vostre lunghe chiome, piccole fate
Nella foresta del fascino e dell’incanto
Nella foresta del fascino e dei meravigliosi riti,
Gnomi compassionevoli, mentre dormivo
Della vostra mano, onesti gnomi, mi offriste
Un scettro d’oro, ahimè! mentre dormivo.
ho imparato da quello tempo che sono miraggio ed illusione
gli scettri d’oro e le canzoni nella foresta ;
Tuttavia, come un bambino credulo, li piango,
E vorrei dormire ancora nella foresta
Che importa se so ch’è un miraggio ed un inganno!
Sotto le vostre lunghe chiome, piccole fate
Cantaste sul mio sonno piano piano
Sotto le vostre lunghe chiome, piccole fate
Nella foresta del fascino e dell’incanto
Nella foresta del fascino e dei meravigliosi riti,
Gnomi compassionevoli, mentre dormivo
Della vostra mano, onesti gnomi, mi offriste
Un scettro d’oro, ahimè! mentre dormivo.
ho imparato da quello tempo che sono miraggio ed illusione
gli scettri d’oro e le canzoni nella foresta ;
Tuttavia, come un bambino credulo, li piango,
E vorrei dormire ancora nella foresta
Che importa se so ch’è un miraggio ed un inganno!
Jean Moreas,
les cantilenes 1866
Moréas
Jean Moréas, pseudonimo di Joannis Papadiamantopulos (1856-1910), di origine greca, nacque ad Atene e studiò diritto a Parigi, dove si stabilì definitivamente nel 1882. Autore del manifesto del simbolismo, apparso sul "Figaro" (1886), pubblicò le raccolte poetiche Les Syrtes (1884) e Les cantilènes (Le cantilene, 1886), in cui è evidente l'influsso di Verlaine. Nel 1891 si allontanò dal movimento simbolista per partecipare alla fondazione della cosiddetta "École romane", di indirizzo neoclassico. La sua opera migliore, Stances (Le stanze, 1899-1901), unisce il rigore della disciplina classica a una mirabile semplicità.
sabato 15 maggio 2010
Non ho che ore
da spendere vaghe nel tempo
che scorre a flusso diretto
nel senso che cerca
nel cuore di Dio
che prego e non so
e discosto i contorni
nel mio condensare le cose
in attimi, brevi respiri
e sovviene ciò che prelusi
ed illusi i miei troppi convinti
e delusi gli altri
e quelle che mai mi decisi.
Anonimo del 1900
frammenti ritrovati
venerdì 14 maggio 2010
La poetica di Ungaretti.
Secondo Ungaretti la poesia è molto importante nella vita degli uomini perché
esprime ciò che è inesprimibile nel fondo dell’anima, ciò che è che nell’inconscio. È compito del poeta portarlo fuori. Ogni parola esprime allora un abisso che il poeta deve penetrare e portare alla luce i segreti più nascosti che l’uomo ignora dentro di sé.
Secondo Ungaretti la poesia è molto importante nella vita degli uomini perché
esprime ciò che è inesprimibile nel fondo dell’anima, ciò che è che nell’inconscio. È compito del poeta portarlo fuori. Ogni parola esprime allora un abisso che il poeta deve penetrare e portare alla luce i segreti più nascosti che l’uomo ignora dentro di sé.
Questa poetica è stata illustrata da Ungaretti con la celebre poesia Commiato che conclude la prima edizione del Porto sepolto.
COMMIATO
Locvizza il 2 ottobre 1916
Gentile
Ettore Serra
poesia
è il mondo l’umanità
la propria vita
fioriti dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento
Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso
Ettore Serra
poesia
è il mondo l’umanità
la propria vita
fioriti dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento
Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso
Giuseppe Ungaretti
...
Chissà perchè dopo il dolore, la rassegnazione, la tristezza, subentra sempre il cieco furore della rabbia, della cattiveria e della rivalsa. Quasi bastasse questo a cambiare lo stato delle cose, del presente. Ho visto fratelli scagliarsi l'uno contro l'altro, amici insultarsi e persone una volta legate per interposti affetti denigrarsi reciprocamente come cani a disputarsi un osso.
Io non so cosa scatta dentro di noi.
Ma so di sicuro che litigare non serve e fa il gioco del fato.
Eppure non è possibile evitarlo, quasi mai, solo i grandi ci riescono perchè hanno il cuore che ragiona e non la mente, loro hanno un'anima grande ed unica e, proprio per questo non piacciiono a nessuno.
giovedì 13 maggio 2010
L'AMICA DI NONNA SPERANZA
28 Giugno 1850
«...alla sua Speranza
la sua Carlotta....»
(dall'album: dedica d'una fotografia)
I.
Loreto impagliato ed il busto d'Alfieri, di Napoleone
i fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto),
il caminetto un po' tetro, le scatole senza confetti,
i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro,
un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve,
gli oggetti col monito, salve, ricordo, le noci di cocco,
Venezia ritratta a musaici, gli acquarelli un po' scialbi,
le stampe, i cofani, gli albi dipinti d'anemoni arcaici,
le tele di Massimo d'Azeglio, le miniature,
i dagherottipi: figure sognanti in perplessita',
il gran lampadario vetusto che pende a mezzo il salone
e immilla nel quarzo le buone cose di pessimo gusto,
il cucù dell'ore che canta, le sedie parate a damasco
chermisi... rinasco, rinasco del mille ottocento cinquanta!
II.
I fratellini alla sala quest'oggi non possono accedere
che cauti (hanno tolte le fodere ai mobili. E' giorno di gala).
Ma quelli v'irrompono in frotta. E' giunta, e' giunta in vacanza
la grande sorella Speranza con la compagna Carlotta.
Ha diciassett'anni la Nonna! Carlotta quasi lo stesso:
da poco hanno avuto il permesso d'aggiungere un cerchio alla gonna,
il cerchio ampissimo increspa la gonna a rose turchine.
Piu' snella da la crinoline emerge la vita di vespa.
Entrambe hanno uno scialle ad arancie a fiori a uccelli a ghirlande;
divisi i capelli in due bande scendenti a mezzo le guance.
Han fatto l'esame piu' egregio di tutta la classe. Che affanno
passato terribile! Hanno lasciato per sempre il collegio.
Silenzio, bambini! Le amiche - bambini, fate pian piano! -
le amiche provano al piano un fascio di musiche antiche.
Motivi un poco artefatti nel secentismo fronzuto
di Arcangelo del Leuto e d'Alessandro Scarlatti.
Innamorati dispersi, gementi il core e l'augello,
languori del Giordanello in dolci bruttissimi versi:
...
28 Giugno 1850
«...alla sua Speranza
la sua Carlotta....»
(dall'album: dedica d'una fotografia)
I.
Loreto impagliato ed il busto d'Alfieri, di Napoleone
i fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto),
il caminetto un po' tetro, le scatole senza confetti,
i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro,
un qualche raro balocco, gli scrigni fatti di valve,
gli oggetti col monito, salve, ricordo, le noci di cocco,
Venezia ritratta a musaici, gli acquarelli un po' scialbi,
le stampe, i cofani, gli albi dipinti d'anemoni arcaici,
le tele di Massimo d'Azeglio, le miniature,
i dagherottipi: figure sognanti in perplessita',
il gran lampadario vetusto che pende a mezzo il salone
e immilla nel quarzo le buone cose di pessimo gusto,
il cucù dell'ore che canta, le sedie parate a damasco
chermisi... rinasco, rinasco del mille ottocento cinquanta!
II.
I fratellini alla sala quest'oggi non possono accedere
che cauti (hanno tolte le fodere ai mobili. E' giorno di gala).
Ma quelli v'irrompono in frotta. E' giunta, e' giunta in vacanza
la grande sorella Speranza con la compagna Carlotta.
Ha diciassett'anni la Nonna! Carlotta quasi lo stesso:
da poco hanno avuto il permesso d'aggiungere un cerchio alla gonna,
il cerchio ampissimo increspa la gonna a rose turchine.
Piu' snella da la crinoline emerge la vita di vespa.
Entrambe hanno uno scialle ad arancie a fiori a uccelli a ghirlande;
divisi i capelli in due bande scendenti a mezzo le guance.
Han fatto l'esame piu' egregio di tutta la classe. Che affanno
passato terribile! Hanno lasciato per sempre il collegio.
Silenzio, bambini! Le amiche - bambini, fate pian piano! -
le amiche provano al piano un fascio di musiche antiche.
Motivi un poco artefatti nel secentismo fronzuto
di Arcangelo del Leuto e d'Alessandro Scarlatti.
Innamorati dispersi, gementi il core e l'augello,
languori del Giordanello in dolci bruttissimi versi:
...
...caro mio ben
credimi almen!
senza di te
languisce il cor!
Il tuo fedel
sospira ognor,
cessa crudel
tanto rigor!
...
Carlotta canta. Speranza suona. Dolce e fiorita
si schiude alla breve romanza di mille promesse la vita.
O musica! Lieve sussurro! E gia' nell'animo ascoso
d'ognuna sorride lo sposo promesso: il Principe Azzurro,
lo sposo dei sogni sognati... O margherite in collegio
sfogliate per sortilegio sui teneri versi del Prati!
III.
Giungeva lo Zio, signore virtuoso, di molto riguardo,
ligio al Passato, al Lombardo-Veneto, all'Imperatore;
giungeva la Zia, ben degna consorte, molto dabbene,
ligia al passato, sebbene amante del Re di Sardegna...
«Baciate la mano alli Zii!» - dicevano il Babbo e la Mamma,
e alzavano il volto di fiamma ai piccolini restii.
«E questa è l'amica in vacanza: madamigella Carlotta
Capenna: l'alunna più dotta, l'amica più cara a Speranza.»
«Ma bene... ma bene... ma bene...» - diceva gesuitico e tardo
lo Zio di molto riguardo «Ma bene... ma bene... ma bene...
Capenna? Conobbi un Arturo Capenna... Capenna... Capenna...
Sicuro! Alla Corte di Vienna! Sicuro... sicuro... sicuro...»
«Gradiscono un po' di moscato?» «Signora sorella magari...»
E con un sorriso pacato sedevano in bei conversari.
«...ma la Brambilla non seppe...» - «E' pingue già per l'Ernani...»
«La Scala non ha piu' soprani...» - «Che vena quel Verdi... Giuseppe!...»
«...nel marzo avremo un lavoro alla Fenice, m'han detto,
nuovissimo: il Rigoletto. Si parla d'un capolavoro.»
«...Azzurri si portano o grigi?» - «E questi orecchini? Che bei
rubini! E questi cammei...» - «la gran novita' di Parigi...»
«...Radetzki? Ma che? L'armistizio... la pace, la pace che regna...»
«...quel giovine Re di Sardegna e' uomo di molto giudizio!»
«E' certo uno spirito insonne, e forte e vigile e scaltro...»
«E' bello?» - «Non bello: tutt'altro.» - «Gli piacciono molto le donne...»
«Speranza!» (chinavansi piano, in tono un po' sibillino)
«Carlotta! Scendete in giardino: andate a giocare al volano!»
Allora le amiche serene lasciavano con un perfetto
inchino di molto rispetto gli Zii molto dabbene.
IV.
Oime'! che giocando un volano, troppo respinto all'assalto,
non piu' ridiscese dall'alto dei rami d'un ippocastano!
S'inchinano sui balaustri le amiche e guardano il Lago
sognando l'amore presago nei loro bei sogni trilustri.
«Ah! se tu vedessi che bei denti!» - «Quant'anni?...» - «Ventotto.»
«Poeta?» - «Frequenta il salotto della Contessa Maffei!»
Non vuole morire, non langue il giorno. S'accende piu' ancora
di porpora: come un'aurora stigmatizzata di sangue;
si spenge infine, ma lento. I monti s'abbrunano in coro:
il Sole si sveste dell'oro, la Luna si veste d'argento.
Romantica Luna fra un nimbo leggiero, che baci le chiome
dei pioppi, arcata siccome un sopracciglio di bimbo,
il sogno di tutto un passato nella tua curva s'accampa:
non sorta sei da una stampa del Novelliere Illustrato?
Vedesti le case deserte di Parisina la bella?
Non forse non forse sei quella amata dal giovine Werther?
«...mah! Sogni di la' da venire!» - «Il Lago s'e' fatto più denso
di stelle» - «...che pensi?» - «...Non penso.» - «...Ti piacerebbe morire?»
«Si'!» - «Pare che il cielo riveli piu' stelle nell'acqua e piu' lustri.
Inchinati sui balaustri: sognamo cosi', tra due cieli...»
«Son come sospesa! Mi libro nell'alto...» - «Conosce Mazzini...»
- «E l'ami?...» - «Che versi divini!» - «Fu lui a donarmi quel libro,
ricordi? che narra siccome, amando senza fortuna,
un tale si uccida per una, per una che aveva il mio nome.»
V.
Carlotta! nome non fine, ma dolce che come l'essenze
risusciti le diligenze, lo scialle, le crinoline...
Amica di Nonna, conosco le aiuole per ove leggesti
i casi di Jacopo mesti nel tenero libro del Foscolo.
Ti fisso nell'albo con tanta tristezza, ov'e' di tuo pugno
la data: vent'otto di giugno del mille ottocento cinquanta.
Stai come rapita in un cantico: lo sguardo al cielo profondo
e l'indice al labbro, secondo l'atteggiamento romantico.
Quel giorno - malinconia - vestivi un abito rosa,
per farti - novissima cosa! - ritrarre in fotografia...
Ma te non rivedo nel fiore, amica di Nonna! Ove sei
o sola che, forse, potrei amare, amare d'amore?
credimi almen!
senza di te
languisce il cor!
Il tuo fedel
sospira ognor,
cessa crudel
tanto rigor!
...
Carlotta canta. Speranza suona. Dolce e fiorita
si schiude alla breve romanza di mille promesse la vita.
O musica! Lieve sussurro! E gia' nell'animo ascoso
d'ognuna sorride lo sposo promesso: il Principe Azzurro,
lo sposo dei sogni sognati... O margherite in collegio
sfogliate per sortilegio sui teneri versi del Prati!
III.
Giungeva lo Zio, signore virtuoso, di molto riguardo,
ligio al Passato, al Lombardo-Veneto, all'Imperatore;
giungeva la Zia, ben degna consorte, molto dabbene,
ligia al passato, sebbene amante del Re di Sardegna...
«Baciate la mano alli Zii!» - dicevano il Babbo e la Mamma,
e alzavano il volto di fiamma ai piccolini restii.
«E questa è l'amica in vacanza: madamigella Carlotta
Capenna: l'alunna più dotta, l'amica più cara a Speranza.»
«Ma bene... ma bene... ma bene...» - diceva gesuitico e tardo
lo Zio di molto riguardo «Ma bene... ma bene... ma bene...
Capenna? Conobbi un Arturo Capenna... Capenna... Capenna...
Sicuro! Alla Corte di Vienna! Sicuro... sicuro... sicuro...»
«Gradiscono un po' di moscato?» «Signora sorella magari...»
E con un sorriso pacato sedevano in bei conversari.
«...ma la Brambilla non seppe...» - «E' pingue già per l'Ernani...»
«La Scala non ha piu' soprani...» - «Che vena quel Verdi... Giuseppe!...»
«...nel marzo avremo un lavoro alla Fenice, m'han detto,
nuovissimo: il Rigoletto. Si parla d'un capolavoro.»
«...Azzurri si portano o grigi?» - «E questi orecchini? Che bei
rubini! E questi cammei...» - «la gran novita' di Parigi...»
«...Radetzki? Ma che? L'armistizio... la pace, la pace che regna...»
«...quel giovine Re di Sardegna e' uomo di molto giudizio!»
«E' certo uno spirito insonne, e forte e vigile e scaltro...»
«E' bello?» - «Non bello: tutt'altro.» - «Gli piacciono molto le donne...»
«Speranza!» (chinavansi piano, in tono un po' sibillino)
«Carlotta! Scendete in giardino: andate a giocare al volano!»
Allora le amiche serene lasciavano con un perfetto
inchino di molto rispetto gli Zii molto dabbene.
IV.
Oime'! che giocando un volano, troppo respinto all'assalto,
non piu' ridiscese dall'alto dei rami d'un ippocastano!
S'inchinano sui balaustri le amiche e guardano il Lago
sognando l'amore presago nei loro bei sogni trilustri.
«Ah! se tu vedessi che bei denti!» - «Quant'anni?...» - «Ventotto.»
«Poeta?» - «Frequenta il salotto della Contessa Maffei!»
Non vuole morire, non langue il giorno. S'accende piu' ancora
di porpora: come un'aurora stigmatizzata di sangue;
si spenge infine, ma lento. I monti s'abbrunano in coro:
il Sole si sveste dell'oro, la Luna si veste d'argento.
Romantica Luna fra un nimbo leggiero, che baci le chiome
dei pioppi, arcata siccome un sopracciglio di bimbo,
il sogno di tutto un passato nella tua curva s'accampa:
non sorta sei da una stampa del Novelliere Illustrato?
Vedesti le case deserte di Parisina la bella?
Non forse non forse sei quella amata dal giovine Werther?
«...mah! Sogni di la' da venire!» - «Il Lago s'e' fatto più denso
di stelle» - «...che pensi?» - «...Non penso.» - «...Ti piacerebbe morire?»
«Si'!» - «Pare che il cielo riveli piu' stelle nell'acqua e piu' lustri.
Inchinati sui balaustri: sognamo cosi', tra due cieli...»
«Son come sospesa! Mi libro nell'alto...» - «Conosce Mazzini...»
- «E l'ami?...» - «Che versi divini!» - «Fu lui a donarmi quel libro,
ricordi? che narra siccome, amando senza fortuna,
un tale si uccida per una, per una che aveva il mio nome.»
V.
Carlotta! nome non fine, ma dolce che come l'essenze
risusciti le diligenze, lo scialle, le crinoline...
Amica di Nonna, conosco le aiuole per ove leggesti
i casi di Jacopo mesti nel tenero libro del Foscolo.
Ti fisso nell'albo con tanta tristezza, ov'e' di tuo pugno
la data: vent'otto di giugno del mille ottocento cinquanta.
Stai come rapita in un cantico: lo sguardo al cielo profondo
e l'indice al labbro, secondo l'atteggiamento romantico.
Quel giorno - malinconia - vestivi un abito rosa,
per farti - novissima cosa! - ritrarre in fotografia...
Ma te non rivedo nel fiore, amica di Nonna! Ove sei
o sola che, forse, potrei amare, amare d'amore?
Guido Gozzano
mercoledì 12 maggio 2010
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
Eugenio Montale
da Ossi di seppia, 1925
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
Eugenio Montale
da Ossi di seppia, 1925
martedì 11 maggio 2010
Le Jeux
Il gioco è fatto!
Nel giorno di poi ormai si stempera l'effetto e la fiamma del cero che ho acceso ieri si starà già affievolendo... si va spegnendo...tutto ripiomberà nel buio o nel dimenticatoio.
"Like a candle in the wind".
Anche questo fa parte del gioco lo so bene.
Mi spiace solo che lo sforzo che farò sarà mediato dal tempo che passa e, forse, questo non è quanto di più giusto si potrebbe fare ma "sic est!" e tornerò a rileggere cose che conosco nella speranza di trovare strade, risposte o solo il conforto.
Cercare in ogni rimasuglio di energia la scintilla vitale.
The quest!
Song for Adam
Though Adam was a friend of mine, I did not know him well
He was alone into his distance
He was deep into his well
I could guess what he was laughing at, but I couldn't really tell
Now the story's told that Adam jumped, but I've been thinking that he fell
Together we went traveling, as we received the call
His destination India, and I had none at all
Well, I still remember laughing with our backs against the wall
So free of fear, we never thought that one of us might fall
I sit before my only candle, but it's so little light to find my way
Now this story unfolds before my candle
Which is shorter every hour as it reaches for the day
But I feel just like a candle in the way
I guess I'll get there, but I wouldn't say for sure
When we parted we were laughing still, as our goodbyes were said
And I never heard from him again as each our lives we led
Except for once in someone else's letter that I read
Until I heard the sudden word that a friend of mine was dead
I sit before my only candle, like a pilgrim sits beside the way
Now this journey appears before my candle
As a song that's growing fainter the harder that I play
But I fear before I end I'll fade away
But I guess I'll get there, though I wouldn't say for sure
Though Adam was a friend of mine, I did not know him long
And when I stood myself beside him, I never thought I was as strong
Still it seems he stopped his singing in the middle of his song
Well I'm not the one to say I know, but I'm hoping he was wrong
I'm holding out my only candle, though it's so little light to find my way
Now this story's been laid beneath my candle
And it's shorter every hour as it reaches for the day
Yes, I feel just like a candle in the way
I hope I'll get there, but I never pray
Jackson Browne
lunedì 10 maggio 2010
La polvere che noi siamo ricompone
il contrasto stride e nel fragore emerge;
le dita più non stringono mani
ma fumo che impalpabile sale a spirale
ed il suono ovattato affievolisce e si spegne.
Le ingiurie si accalcano agli occhi
che tumidi chiedono inesistenti ragioni;
non senti il calore che tenta trasmetterti
chi a fianco ti è stata, vicina, compagna serena
e che ora stranita si accascia colpita dal maglio.
Io non ho che parole da dirti, consunte, desuete
a rincorrere attimi insieme gelati dal nulla;
lo sguardo più non ricerca sorriso
e smarrito, attonito fissa nel punto infinito
un orizzonte lontano, sfocato, indistinto.
Anonimo del XX° secolo,
frammenti ritrovati
domenica 9 maggio 2010
Raffaello
è partito per un ultimo viaggio così, da solo, senza avvisare nessuno e senza fare bagaglio. La mia tristezza dilaga nel suo accento isolano e nel sorriso aperto, nelle sue frasi piene di mare e di quella sua Sicilia che amava di un amore indicibile tanto era assoluto. Ho l'anima fragile oggi, non so cosa pensare se non che questo giorno di pioggia purifichi e dilavi il dolore che provo a ripensarlo amico sincero e disinteressato. E' buffo, mi vengono in mente solo frasi fatte, quelle di rito, di circostanza, eppure mi accarezza la mente il ricordo del sole e del vento di quando sfrecciammo la costa agrigentina in cerca di luoghi riposti, lontani e isolati che accogliessero le nosre confidenze.
E' buffo ma lui se ne è andato ancora così giovane ma anche carico di pesi che non so chi ora porterà per lui.
E mi manca in modo totale.
La Morte dà Significato
La Morte dà significato a Cose
Che l'Occhio avrebbe tralasciato
Salvo che una Creatura defunta
Ci implori teneramente
Di soffermarci su piccoli Lavori
Di Pastello, o di Lana,
Con un "Questo fu l'ultimo fatto dalle Sue dita" -
Industriose fino a quando -
Il Ditale divenne troppo pesante -
I punti - si arrestarono -
E allora fu posato fra la Polvere
Sulle mensole del Ripostiglio -
Ho un Libro - donato da un amico -
La cui Matita - qui e là -
Ha segnato i punti che Lui preferiva -
A Riposo - sono le Sue dita -
Ora - quando leggo - non riesco a leggere -
Per le Lacrime che interrompono -
Cancellando quelle Incisioni
Troppo Costose da Riparare.
Emily Dickinson
sabato 8 maggio 2010
Il Gioco del Silenzio
Non so se veramente fu vissuto
quel giorno della prima primavera.
Ricordo - o sogno? - un prato di velluto,
ricordo - o sogno? - un cielo che s'annera,
e il tuo sgomento e i lampi e la bufera
livida sul paese sconosciuto...
Poi la cascina rustica sul colle
e la corsa e le grida e la massaia
e il rifugio notturno e l'ora folle
e te giuliva come una crestaia,
e l'aurora ed i canti in mezzo all'aia
e il ritorno in un velo di corolle...
- Parla! - Salivi per la bella strada
primaverile, tra pescheti rosa,
mandorli bianchi, molli di rugiada...
- Parla! - Tacevi, rigida pensosa
della cosa carpita, della cosa
che accade e non si sa mai come accada...
- Parla! - seguivo l'odorosa traccia
della tua gonna... Tutto rivedo
quel tuo sottile corpo di cinedo,
quella tua muta corrugata faccia
che par sogni l'inganno od il congedo
e che piacere a me par che le spiaccia...
E ancor mi negasti la tua voce
in treno. Supplicai, chino rimasi
su te, nel rombo ritmico e veloce...
Ti scossi, ti parlai con rudi frasi,
ti feci male, ti percossi quasi,
e ancora mi negasti la tua voce.
Giocosa amica, il Tempo vola, invola
ogni promessa. Dissipò coi baci
le tue parole tenere fugaci...
Non quel silenzio. Nel ricordo, sola
restò la bocca che non diè parola,
la bocca che tacendo disse: Taci
quel giorno della prima primavera.
Ricordo - o sogno? - un prato di velluto,
ricordo - o sogno? - un cielo che s'annera,
e il tuo sgomento e i lampi e la bufera
livida sul paese sconosciuto...
Poi la cascina rustica sul colle
e la corsa e le grida e la massaia
e il rifugio notturno e l'ora folle
e te giuliva come una crestaia,
e l'aurora ed i canti in mezzo all'aia
e il ritorno in un velo di corolle...
- Parla! - Salivi per la bella strada
primaverile, tra pescheti rosa,
mandorli bianchi, molli di rugiada...
- Parla! - Tacevi, rigida pensosa
della cosa carpita, della cosa
che accade e non si sa mai come accada...
- Parla! - seguivo l'odorosa traccia
della tua gonna... Tutto rivedo
quel tuo sottile corpo di cinedo,
quella tua muta corrugata faccia
che par sogni l'inganno od il congedo
e che piacere a me par che le spiaccia...
E ancor mi negasti la tua voce
in treno. Supplicai, chino rimasi
su te, nel rombo ritmico e veloce...
Ti scossi, ti parlai con rudi frasi,
ti feci male, ti percossi quasi,
e ancora mi negasti la tua voce.
Giocosa amica, il Tempo vola, invola
ogni promessa. Dissipò coi baci
le tue parole tenere fugaci...
Non quel silenzio. Nel ricordo, sola
restò la bocca che non diè parola,
la bocca che tacendo disse: Taci
Guido Gozzano
venerdì 7 maggio 2010
Certezza
Tu sei l’erba e la terra, il senso
quando uno cammina a piedi scalzi
per un campo arato.
Per te annodavo il mio grembiule rosso
e ora piego a questa fontana
muta immersa in un grembo di monti:
so che a un tratto-
il mezzogiorno sciamerà coi gridi
dei suoi fringuelli -
sgorgherà il tuo volto
nello specchio sereno, accanto al mio.
Antonia Pozzi
9 gennaio 1938
Berthe Morisot , La bambina col grembiule rosso
giovedì 6 maggio 2010
è una giornata di quelle che non vorrei mai, di quelle che pesano e struggono, di quelle in cui si cerca rifugio per sfuggire alla vita quotidiana.
Il bisogno di un caldo cantuccio in cui appallottolarsi in cerca di pace...e riposo, dove potersi addormentare di quel sonno ristoratore che penso di meritare.
Non credo di essere una brutta persona, vivo con le mie angosce ed i miei difetti e non sono cattivo; sono solo molto stanco, stremato di quella fatica che non ti si scrolla di dosso e non si riesce a smaltire.
La via dell'ansia è sempre spalancatae la depressione dietro l'angolo, ogni sforzo è teso al rifugio, alla sensazione calma di quiete dove il vento non riesce ad arrivare.
E' così difficile che a volte appare perfino inutile cercare di contrastare gli eventi...ma va fatto, lo so!
Un grazie a Guido Gozzano che è nella mia vita da molto.
---
---
La via del rifugio
Trenta quaranta,
tutto il Mondo canta
canta lo gallo
risponde la gallina...
Socchiusi gli occhi, sto
supino nel trifoglio,
e vedo un quatrifoglio
che non raccoglierò.
Madama Colombina
s'affaccia alla finestra
con tre colombe in testa:
passan tre fanti...
Belle come la bella
vostra mammina, come
il vostro caro nome,
bimbe di mia sorella!
...su tre cavalli bianchi:
bianca la sella
bianca la donzella
bianco il palafreno...
Ne fare il giro a tondo
estraggono le sorti.
(I bei capelli corti
come caschetto biondo
rifulgono nel sole.)
Estraggono a chi tocca
la sorte, in filastrocca
segnado le parole.
Socchiudo gli occhi, estranio
ai casi della vita.
Sento fra le mie dita
la forma del mio cranio...
Ma dunque esisto! O Strano!
vive tra il Tutto e il Niente
questa cosa vivente
detta guidogozzano!
Resupino sull'erba
(ho detto che non voglio
raccorti, o quatrifoglio)
non penso a che mi serba
la Vita. Oh la carezza
dell'erba! Non agogno
cha la virtù del sogno:
l'inconsapevolezza.
Bimbe di mia sorella,
e voi, senza sapere
cantate al mio piacere
la sua favola bella.
Sognare! Oh quella dolce
Madama Colombina
protesa alla finestra
con tre colombe in testa!
Sognare. Oh quei tre fanti
su tre cavalli bianchi:
bianca la sella,
bianca la donzella!
Chi fu l'anima sazia
che tolse da un affresco
o da un missale il fresco
sogno di tanta grazia?
A quanti bimbi morti
passò di bocca in bocca
la bella filastrocca
signora delle sorti?
Da trecent'anni, forse,
da quattrocento e più
si canta questo canto
al gioco del cucù.
Socchiusi gli occhi, sto
supino nel trifoglio,
e vedo un quatrifoglio
che non raccoglierò.
L'aruspice mi segue
con l'occhio d'una donna...
Ancora si prosegue
il canto che m'assonna.
Colomba colombita
Madama non resiste,
discende giù seguita
da venti cameriste,
fior d'aglio e fior d'aliso,
chi tocca e chi non tocca...
La bella filastrocca
si spezza d'improvviso.
"Una farfalla!" "Dài!
Dài!" - Scendon pel sentiere
le tre bimbe leggere
come paggetti gai.
Una Vanessa Io
nera come il carbone
aleggia in larghe rote
sul prato solatio,
ed ebra par che vada.
Poi - ecco - si risolve
e ratta sulla polvere
si posa della strada.
Sandra, Simona, Pina
silenziose a lato
mettonsile in agguato
lungh'essa la cortina.
Belle come la bella
vostra mammina, come
il vostro caro nome
bimbe di mia sorella!
Or la Vanessa aperta
indugia e abbassa l'ali
volgendo le sue frali
piccole antenne all'erta.
Ma prima la Simona
avanza, ed il cappello
toglie ed il braccio snello
protende e la persona.
Poi con pupille intente
il colpo che non falla
cala sulla farfalla
rapidissimamente.
"Presa!" Ecco lo squillo
della vittoria. "Aiuto!
È tutta di velluto:
Oh datemi uno spillo!"
"Che non ti sfugga, zitta!"
S'adempie la condanna
terribile; s'affanna
la vittima trafitta.
Bellissima. D'inchiostro
l'ali, senza rintocchi,
avvivate dagli occhi
d'un favoloso mostro.
"Non vuol morire!" "Lesta!
ché soffre ed ho rimorso!
Trapassale la testa!
Ripungila sul dorso!"
Non vuol morire! Oh strazio
d'insetto! Oh mole immensa
di dolore che addensa
il Tempo nello Spazio!
A che destino ignoto
si soffre? Va dispersa
la lacrima che versa
l'Umanità nel vuoto?
Colombina colombita
Madama non resiste:
discende giù seguita
da venti cameriste...
Sognare! Il sogno allenta
la mente che prosegue:
s'adagia nelle tregue
l'anima sonnolenta,
siccome quell'antico
brahamino del Pattarsy
che per racconsolarsi
si fissa l'umbilico.
Socchiudo gli occhi, estranio
ai casi della vita;
sento fra le mie dita
la forma del mio cranio.
Verrà da sé la cosa
vera chiamata Morte:
che giova ansimar forte
per l'erta faticosa?
Trenta quaranta
tutto il Mondo canta
canta lo gallo
canta la gallina...
La Vita? Un gioco affatto
degno di vituperio,
se si mantenga intatto
un qualche desiderio.
Un desiderio? sto
supino nel trifoglio
e vedo un quatrifoglio
che non raccoglierò.
Guido Gozzano
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mercoledì 5 maggio 2010
Il Cinque Maggio
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all'ultima
ora dell'uom fatale;
né sa quando una simile
orma di pie' mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sònito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al sùbito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all'urna un cantico
che forse non morrà.
Dall'Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall'uno all'altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l'ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d'un gran disegno,
l'ansia d'un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch'era follia sperar;
tutto ei provò: la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio;
due volte nella polvere,
due volte sull'altar.
Ei si nomò: due secoli,
l'un contro l'altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe' silenzio, ed arbitro
s'assise in mezzo a lor.
E sparve, e i dì nell'ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d'immensa invidia
e di pietà profonda,
d'inestinguibil odio
e d'indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l'onda s'avvolve e pesa,
l'onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorrea la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell'alma il cumulo
delle memorie scese.
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull'eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d'un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei dì che furono
l'assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de' manipoli,
e l'onda dei cavalli,
e il concitato imperio
e il celere ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l'avvïò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov'è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trïonfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Gòlgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.
Alessandro Manzoni
martedì 4 maggio 2010
Filastrocca di primavera
Filastrocca di primavera
più lungo è il giorno, più dolce la sera.
Domani forse tra l'erbetta
spunterà la prima violetta.
Oh prima viola fresca e nuova
beato il primo che ti trova,
il tuo profumo gli dirà,
la primavera è giunta, è qua.
Gli altri signori non lo sanno
e ancora in inverno si crederanno:
magari persone di riguardo,
ma il loro calendario va in ritardo.
Filastrocca di primavera
più lungo è il giorno, più dolce la sera.
Domani forse tra l'erbetta
spunterà la prima violetta.
Oh prima viola fresca e nuova
beato il primo che ti trova,
il tuo profumo gli dirà,
la primavera è giunta, è qua.
Gli altri signori non lo sanno
e ancora in inverno si crederanno:
magari persone di riguardo,
ma il loro calendario va in ritardo.
Gianni Rodari
lunedì 3 maggio 2010
Fiore di Campo
Fiore di campo che cresci
tenacemente vitale nel prato
rinnovi colori e calori
di Primavere continue.
Fiore di campo che elevi
nel sole il tuo stelo robusto
aleggi nel vento di Aprile
come vela sull'erba.
Fiore di campo che doni
agli sguardi una pace serena
resisti a temporali violenti
sferzato da scrosci di pioggia.
Anonimo del 1900
poesie ritrovate
Fiore di campo che cresci
tenacemente vitale nel prato
rinnovi colori e calori
di Primavere continue.
Fiore di campo che elevi
nel sole il tuo stelo robusto
aleggi nel vento di Aprile
come vela sull'erba.
Fiore di campo che doni
agli sguardi una pace serena
resisti a temporali violenti
sferzato da scrosci di pioggia.
Anonimo del 1900
poesie ritrovate
domenica 2 maggio 2010
La Vita Sognata
Chi mi parla non sa
che io ho vissuto un'altra vita -
come chi dica
una
fiaba
o una
parabola santa.
Perchè tu eri
la purità mia,
tu cui un'onda bianca
di tristezza cadeva sul volto
se ti chiamavano col labbra impure,
tu cui le lacrime dolci
correvano nel profondo degli occhi
se guardavano in alto -
e così ti parevo più bella.
O velo
tu della mia giovinezza,
mia veste chiara,
verità svanita -
o nodo
lucente - di tutta una vita
che fu sognata - forse -
oh, per averti sognata,
mia vita cara,
benedico i giorni che restano -
il ramo morto dei giorni che restano,
che servono
per piangere te.
Antonia Pozzi
Chi mi parla non sa
che io ho vissuto un'altra vita -
come chi dica
una
fiaba
o una
parabola santa.
Perchè tu eri
la purità mia,
tu cui un'onda bianca
di tristezza cadeva sul volto
se ti chiamavano col labbra impure,
tu cui le lacrime dolci
correvano nel profondo degli occhi
se guardavano in alto -
e così ti parevo più bella.
O velo
tu della mia giovinezza,
mia veste chiara,
verità svanita -
o nodo
lucente - di tutta una vita
che fu sognata - forse -
oh, per averti sognata,
mia vita cara,
benedico i giorni che restano -
il ramo morto dei giorni che restano,
che servono
per piangere te.
Antonia Pozzi
sabato 1 maggio 2010
Primo Maggio di Festa
---
Primo maggio di festa oggi nel Viet-Nam
e forse in tutto il mondo,
primo maggio di morte oggi a casa mia
ma forse mi confondo.
E che titolo rosso oggi sul Viet-Nam
e che sangue negli occhi della mia gente,
e che cosa da niente oggi essere lì
e morire senza il sole del Viet-Nam.
Che sapore di morte oggi dal Viet-Nam
ma forse è mio padre, mi confondo.
Che sapore di sole oggi dal Viet-Nam
ma forse è proprio il sole, qui, mi confondo.
E confondo la testa col mondo e col Viet-Nam
e confondo i miei occhi con i tuoi,
e che titolo rosso oggi sul Viet-Nam
ma forse è il tuo sangue,
mi confondo.
e forse in tutto il mondo,
primo maggio di morte oggi a casa mia
ma forse mi confondo.
E che titolo rosso oggi sul Viet-Nam
e che sangue negli occhi della mia gente,
e che cosa da niente oggi essere lì
e morire senza il sole del Viet-Nam.
Che sapore di morte oggi dal Viet-Nam
ma forse è mio padre, mi confondo.
Che sapore di sole oggi dal Viet-Nam
ma forse è proprio il sole, qui, mi confondo.
E confondo la testa col mondo e col Viet-Nam
e confondo i miei occhi con i tuoi,
e che titolo rosso oggi sul Viet-Nam
ma forse è il tuo sangue,
mi confondo.
Claudio Lolli
(Ho visto anche degli zingari felici)
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Buon Primo Maggio a tutti!
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