“Cara, amore ho sempre un’apprensione quando apro una tua lettera e uno
slancio enorme di gratitudine e amore leggendo le tue parole d’amore.
Il
ritratto del giovane P.P. [Pier Paolo Pasolini, ndr] è molto bello, uno
dei migliori della tua vena ritrattistica, di questa tua intelligenza
delle personalità umane fatta di discrezione e capacità di intendere i
tipi più diversi,questa tua gran dote largamente provata nei coetanei.
È
la stessa dote che portata all’estremo accanimento dell’amore ti fa
dire delle cose così acute e sorprendenti quando parli con me di me che
ti sto a sentire a bocca aperta, abbacinato un insieme d’ammirazione per
l’intelligenza, o incontenibile narcisismo, e di gratitudine amorosa.
Ho più che mai bisogno di stare fra le tue braccia.
E questo tuo
ghiribizzo di civettare che ora ti ripiglia non mi piace niente, lo
giudico un’intrusione di un moti psicologico completamente estraneo
all’atmosfera che deve reagire tra noi. Gioia cara, vorrei una stagione
in cui non ci fossi per me che tu e carta bianca e voglia di scrivere
cose limpide e felici. Una stagione e non la vita? Ora basta, perché ho
cominciato così questa lettera, io voglio scrivere del nostro amore,
voglio amarti scrivendo, prenderti scrivendo, non altro.
È forse anche
qui la paura di soffrire che prende il sopravvento? Cara, cara, mi
conosci troppo, ma no, troppo poco, devo ancora farmi conoscere da te,
devo ancora scoprirmi a te, stupirti, ho bisogno di farmi ammirare da te
come io continuamente ti ammiro”.
Italo Calvino

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