Aspettando E. che torna da Roma
La tramontana accende nei camini
più vivida la fiamma: so, lontana,
che le tue ciglia bevono dal cielo
oblique più neri i suoi propositi.
So che guardi, né la tempesta schiara
i tuoi occhi, come un paesaggio andare
il tempo che da me qui ti separa.
Riconosco le rare, le lontane
pendici arroccate, un torreggiare,
all’orizzonte nuvole infocate
sui tufi della Valle Tiberina,
Orvieto, Arezzo, l’Arno che fa un’ansa
verde improvvisa, so che il tempo veste
- scompare e appare tra esili pioppete -
questa o altra divisa; ma tu scendere
non puoi da questo treno, né io salire
posso su un altro, anima mia indivisa
che torni come nel suo vaso il mosto
a fermentare.
Porta verso un alt
come scarica il carbonaio qui sotto
nel suo antro d’interi boschi il nero
smemorato deposito del fuoco.
Né questa tramontana urta per giuoco
su bacche intirizzite dall’autunno,
su arrossate pendici, a trarvi, è d’uopo
fin il rossore e l’allegria dell’atto.
Infilati gli stivali di gomma
il pescatore tenta la fanghiglia
dove il sole è vivace,
innesta ecco la canna, mette l’esca,
guarda sulla spalletta la marmaglia
che l’insulta, bestemmia, attende in pace.
Piero Bigongiari
da "Le mura di Pistoia", Mondadori, 1958
anche la mia E. si trova a Roma,
sarà ancora preda del passato? ancora?
ricordo un fruscio di seni e la bocca;
uniti in attimi indivisibili e così fragili...