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domenica 1 luglio 2018

Ormai, di Emilio Villa

Ormai
 

Un giorno la giovinezza, con circospezione
abbandona arbitrariamente i capolinea. Ecco.
E io ricordo le finestre che s’accendono al pianterreno
sul vialone, e somigliano così profondamente ai radi
ragionamenti che faremo sul punto di morire,
in articulo, con l’ombra degli amici, a fior di mente.

                             Invero
non so più se viva tra le secche
ancora il suo tepido serpire, adesso,
in province gelate, come una romanza
fine e perenne sul filo della schiena, ma davvero
so che nelle lacrime lombarde, ove credemmo
di mieterci a vicenda, vagabondi baleni
dissipavano i veli nuziali alle riviere.

Ed era un nome d’alta Italia, a ripensare bene,
era un nome questa raffica, che non osi
più inseguire? E la felicità dell’occidente
si salva in occidente?

Disabitate ormai le alzaie, e disperando
ormai del nostro sentimento (e la nebbia
ormai mietuta che ci stringe a mezza vita),
disabitate le alzaie e disperando ormai
se la patria fosse una cittadinanza unica, reale,
andrebbe ricordata in un risucchio, a capofitto
per le celesti aiuole, la parte più dimessa
del nostro pensare lontanamente: andrebbe
ricordato uno spesso passaggio di brumisti
e di taxi, quel che tossisce sul margine caduco
del Naviglio, o libero tra le pioppe luccicanti
che i diti del vento tamburellano lassù, il brivido
dell’ultimo brum, in una corsa matta, che ci porta

via tutti i fanali e il nostro cuore salutando.  

 
Emilio Villa
 
 
Ormai, è tardi, non si può più,
abbiamo lasciato l'umanità fuori,
dietro di noi compaiono spettri ancestrali;
siamo ancora uomini? donne?... 

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