Semaforo rosso
Un passaggio a livello, un semaforo
rosso è il simbolo di me
più scontato: pieno di sbarre
e di segnali d'allarme
su una via che pare
la più piana e solare.
I giorni, la memoria, una siepe;
una selva di fili spinati
il cammino. E il sangue
un torrente cieco.
Quanto desiderai, o Signore,
di buttarmi nel Tuo mare,
di finire dentro l'elemento
informe e semplice,
dentro l'infinito Tuo palpito!
Ché se dalla carne è visibile
il segno di questi reticolati,
Tu, onnisciente, non la dirai
ribellione, marchio
di una insignificante anarchia.
Forse è ricordo del primo
tempo libero, irrimediabile, amore
d'essere come Te, immutabile.
E voi, non presentate figura alcuna
di questa creazione: schemi,
diaframmi isolanti; tutti
oggetti, tombe del desiderio.
(Una stupenda misconoscenza
la nostra che non s'avvede
come la «cosa» si obnubila
sotto il velo delle nostre concupiscenze.)
Meglio sarebbe non desiderare
per non rompere la consuetudine
con l'Eterno. La mia è un'avanzata
ove ogni giorno erigo una lapide
a ricordo di un combattimento,
di qualcuno lasciato alle spalle.
E poi, a sera, questi sepolti
che risorgono a migliaia
a ridarmi battaglia.
Ed io alla fine rimasto solo
con la squallida gioia
simile a uno sconfinato deserto.
Non del cielo, non della terra siamo.
Egli ancora, dopo tanto
iconoclasta furore e lo scempio
di tanta rinuncia, ancora
in Immagine: ancora
separati ed ignoti.
A quando, Iddio, per me
un passaggio libero
e l'immediato raggiungimento?
David Maria Turoldo
da "O sensi miei" (Poesie 1948-1988), 1990
quanti stop alle cose della vita,
fermarsi perché fermati nel senso,
un intimo raccolto di sbarramenti
e ci ributtiamo sulla strada veloci...