L’arte del primo sonno
Che pece tenera l’inesperienza
tua e mia dell’umano, che amore
l’amore catafratto d’ironia,
questo illudersi a ore alterne d’una
maturità che non esiste o almeno
non esiste nel nostro destino.
Quanto poco fu il tempo per descriverti
e meno ancora quello che serviva
a viverti. Illeso amore, accento
di sorriso sulla mia prima costola
fratturata, questo scherzo sottile
di primavera, e al suo velo invisibile
io e te ringiovaniti nella spera
del vaniloquio: la chiave è sul banco
che ti apre e mi vuota come l’uno
in euforia dopo l’altro i bicchieri.
Silvio Ramat
Sonno, tacuinum sanitatis casanatensis (XIV secolo) |
il sonno, così prezioso,
ormai raro e corto nei sogni
quelli miei brevi, unici, potenti
nella solitudine di sempre
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