La notte portava la tenebra in terra. Sul mare
i naviganti adocchiavano l'Orsa e gli astri d'Orione
dalle tolde. Sentiva bisogno di sonno il viaggiatore,
così la sentinella, e sopore di piombo avvolgeva
pure la madre che ha visto la morte dei figli.
Non c'era ululare di cani, in città, non rimbalzi
di suoni. Silenzio invadeva quel buio, che s'oscurava.
Ma dolcezza di sonno non prese Medea,
la svegliavano varie passioni, nel desiderio di lui,
nell'angoscia per la furia potente dei tori, ai quali
domani doveva prostrarsi; morte brutale, alla piana
di Ares. Nel petto pulsava il suo cuore, frenetico.
Come danza uno strale di sole nel chiuso,
scattando da un'acqua, appena versata in un bacile,
o in una tazza, e di qua, di là, a guizzi
rimbalza nel veloce turbinio,
così nel petto mulinava il cuore di Medea.
Dagli occhi scorreva pianto di pietà. Dentro,
la trapassava la fitta, filtrando nella carne, ai nervi
filiformi, fino all'estremità, all'occipite della nuca
dove trafigge più tormentoso il male, quando
ostinati Eroti fiondano tormenti in petti umani.
Ora diceva a se stessa che gli avrebbe dato l'antidoto
dei tori: ora, che nulla avrebbe dato, e che sarebbe morta
anche lei; poi... nessuna cosa, né l'una, né l'altra:
impassibile, doveva stare, e affrontare il suo male.
Argonautiche, III.286-98
Apollonio Rodio
Traduzione di Ezio Savino
novello nocchiero di una scarna nave,
ho con me viaggiatori impotenti, nel buio,
sono avvolti da vivide luci, nel buio;
li porto lontano, con me, alla deriva...