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giovedì 21 agosto 2014

Quello che volevo dire..., di Rabindranath Tagore

Quello che volevo dire
e che non ho detto
era solo questo:
Attraverso la mia porta
davanti agli occhi
ho visto mille volte
l’universo eterno.
L’eterna intelligenza dello sconosciuto
ogni giorno in tanta semplicità
ha riempito l’intimo del cuore:
non so se potrò dire con parole semplici
questa verità.
Risuona il canto della nuda terra
sotto l’ombra solitaria del gelso:
sull’altra sponda del fiume
ara il contadino la ripida riva:
volano via le anitre dalla spiaggia sabbiosa
senza erba e senza gente.
Le acque stanche del fiume dimesso
come occhio spento e mezzo attento
chissà se vanno o sono ferme.
Da molto tempo segnata da impronte di piedi,
la strada, amica del raccolto,
cammina tortuosa lungo i campi:
corre una parentela tra la capanna e il fiume.
quante volte il poeta ha contemplato
tutte queste immagine,
questo villaggio alla luce di marzo,
quella terra desolata, quel traghetto,
quella linea azzurra del fiume,
in quel lontano seno di sabbia
presso le acque solitarie
nel luogo del mercato,
quel bisbiglio serrato,
solo questo guardare,
questo camminare sulla strada,
questa luce, questa aria,
questo fuggire improvviso di nubi
sulla corrente del fiume,
il cammino silenzioso delle ombre:
il cuore ha cercato di vedere
quello che nelle gioie e nelle pene
a più riprese lo ha reso perfetto.

Sul Gange, 19 febbraio 1916
da "Stormi nel cielo"
Rabindranath Tagore


fiume come percorso,
verso un lago, poi il mare;
ricordi legate alle brezze,
sartie e gomene che stirano
voglie di barche legate...

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