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lunedì 24 novembre 2014

Mestiere, di Juan Gelman

Mestiere

Quando iniziando il verso io mi spiazzo
o non entra un avverbio e mi si spezza
tutta la musica, la forma guarda
col suo mostruoso volto di abortita,
l'aria mi fa male, soffro il sostantivo,
penso che bello andare sotto gli alberi
o far lo spaccapietre o essere passerotto
e preoccuparsi del nido e della
passerotta e i piccoli, sì, che bello,
chi me lo dice di mettermi, endecasillabo,
a cantare, chi me lo dice
di afferrarmi il cervello con le mani,
il cuore con i verbi, la camicia
per le punte ed esprimermi,
chi me lo dice, ti domando, essendo juan,
un juan così semplice coi suoi pantaloni,
i suoi amiconi, il suo lavoro e la sua
condannata abitudine di esser vivo,
chi me lo dice di andare gravido di frasi,
di calzare un cappello immaginario, di andare
ad aspettare una rima lì all'angolo di strada
come un fidanzato puntuale e disgraziato,
chi me lo dice di litigare con la grammatica,
maledirmi la notte, digrignare
fieramente, negarmi, rinnegare,
gemere, piangere, che bello è il passerotto
con la sua passerotta, i suoi piccoli e
il suo nido, il suo capriccio di esser grigio,
                  o far lo spaccapietre, dammi retta amico,
io scambio sogni e musica e anche i versi
per un piccone, pala e una carriola.
Ad una condizione:
lasciami un poco
di questo maledetto piacere di cantare.

                 

Traduzione di Laura Branchini
Juan Gelman.
La notte lentamente
 
 
...così semplice
da sembrare complicato,
così unico
da essere solitario... 

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