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giovedì 12 novembre 2015

Finestre di dolore, di Francesco De Gregori

 
Finestre di dolore
 
La luce della luna
ci trovò sopra un tetto
e Pietro non parlava,
e niente che rompeva la noia dell'attesa,
solo il suono della pioggia che cadeva.
E lui, con la mano alla bottiglia,
faceva i suoi discorsi da pazzo
e un gallo si mise a suonare la sveglia,
per quanto la notte fosse ancora ubriaca
e Giuda fosse ancora un ragazzo.
E credo che fu in quel preciso momento
che venne da molto lontano un ricordo,
qualcosa di simile a un pianto di madri.
E due angeli vestiti di bianco
scescero con aria stupita
e il vuoto nel cuore.
E aprimmo al pianto le finestre del dolore.
Seduti nella stanza
con la bocca socchiusa,
aggrappati alle nostre sigarette,
aspettavamo l'alba senza troppo interesse,
soltanto per avere una scusa.
E Anna, perduta sul divano,
sembrava un bambino sconfitto
e la sua amica giovane le dava la mano
ma Anna era troppo occupata
a contare ricordi sul soffitto.
E credo che fu in quel preciso momento
che venne da molto lontano un ricordo,
qualcosa di simile a un pianto di madri.
E due angeli vestiti di bianco
scescero con aria stupita e il vuoto nel cuore.
E aprimmo al pianto le finestre del dolore.
In fondo alla pianura una linea più buia,
l'esercito degli uomini diversi,
con gli occhi e la bocca pieni di sonno,
aspettava in una buca di due metri.
E noi, dall'altra parte del concetto,
con l'anima in fondo alle gavette,
cacciavamo i pensieri come mosche mortali
e il nostro cervello era bianco.
L'attacco era fissato per le sette.
E credo che fu in quel preciso momento
che venne da molto lontano un ricordo,
qualcosa di simile a un pianto di madri.
E due angeli vestiti di bianco
scescero con aria stupita
e il vuoto nel cuore.
E aprimmo al pianto le finestre del dolore.
 
Francesco De Gregori

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