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lunedì 19 marzo 2012

Amare, andare, non è cessato il tuono

Amare, andare, non è cessato il tuono,
calpestare l'angoscia, andare a piedi nudi,
spaventare i ricci, ripagare col bene
per il male del mirtillo con la ragnatela.

Bere dai rami che battono sul viso,
l'azzurro di rimbalzo solcando:
«Allora è l'eco?» -e alla fine
smarrirsi nei baci.

E come in una marcia, vagare coperto di lappole.
Al tramonto sapere che più vecchio è il sole
di quelle stelle e di quei carri d'avena,
di quella Margherita e della taverniera.

Perdere la lingua, abbonarsi
alla tempesta di lacrime negli occhi delle valchirie,
e nell'ardore con tutto il cielo ammutolito,
affogare gli alti tronchi nell'etere.

Sdraiati, raccogliere, tra le spine, brandelli
gli eventi degli anni, come pigne d'abete:
strada battuta, discesa di Korcma;
albeggiava; gelavamo; mangilivamo pesce.

E una volta crollati intonare: «Canuto,
andavo e caddi senza forze. Un tempo
soffocava la città con il loglio
bagnatosi nelle lacrime delle mogli dei soldati.

Nell'ombra delle lunghe aie illuni,
negli ardori delle fiasche e delle spezie,
forse, anch'egli è vecchio
e in seguito pure creperà».

Cosl cantavo, cantavo e morivo.
E morivo e tornavo
alle mani di lei, come boomerang,
e, per quanto mi ricordi, dicevo addio.

Boris Pasternak


un unico stelo sostiene
l'incauto assetto nel temporale;
ora piove e, dopo il vento,
l'acqua dilava la vita
che scorre a fiotti nel terreno...

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